sabato 31 dicembre 2016

Ma le sento un po' mie, le paure che hai


Sei la parte di me più simile al peggio di me.
Sei l'ologramma del mio essere futuro, sei il disegno della rassegnazione e della disillusione che sento già mie, per quanto siano lontane, che sento già nostre, per quanto io sia incapace di arrendermene.
Sei la risposta alla domanda ''perché mi odio, perché mi faccio odiare'', hai gli occhi di ciò che odio vedere nello specchio quando mi alzo nel bel mezzo della notte, sei quello che mi lascia senza nulla da dire. Perché tutto ciò che pensi è un'equazione matematica complicatissima uguale solo per incognite alla mia. Ed io non so mai da dove iniziare, non so mai dove è necessario che si tappezzi prima.
Siamo così identici e per paura di ammettere la complicanza nell'essere uguali ci rintaniamo in ciò che più ci sembra sicuro quando niente è al suo posto:''siamo diversi, abbiamo aspirazioni diverse, siamo troppo distanti''.
E' una scusa, una cantilena ripetuta mille e mille volte. Una scusa.
Una maschera per giustificare il mio odiare te, riflesso nei miei atteggiamenti e nelle mie agonie e per giustificare il tuo odiare me, quando ti ripeto senza freno ''E allora lasciamoci, lasciami, lasciami adesso!''.



''Tu sei la luce nella notte
la chiave delle porte
il sangue sulle nocche nelle giornate storte.
Tu sei la mia sorte
la vena sopra al collo quando mi scopro forte,
le volte che non mollo. 
Tu sei la mia anima, le ali del decollo
la carica, la stamina, sul palco o sul foglio.
Tu sei questo sogno, la mia speranza unica
tu sei ciò che voglio. Tu sei la mia musica.''

sabato 17 dicembre 2016

Tremore

Non avrei mai voluto saperlo, perché avere la consapevolezza di significa pensare a cosa fare per. E sapere cosa fare per, non significa sempre essere in grado di.
Non avrei potuto esprimerlo in modo peggiore, ne son consapevole. Ma non saprei esprimerlo altrimenti.
A volte, ma mai come oggi, preferirei non sapere certe cose. E' sempre meglio non saperne, piuttosto che sapere e fingere di non esserne a conoscenza.
Quando si conosce un qualcosa, una cosa qualsiasi, che riguardi noi stessi o che riguardi chi vogliamo bene, siamo coinvolti. E pur se non riguardi chi vogliamo bene, ne siamo coinvolti comunque, perché sapere significa sapere, agire, difendere.
Avrei voluto tacesse, così da non chiedermi continuamente ''e mo' che faccio? che facciamo?'', ma forse non l'avrei voluto davvero. No, non l'avrei voluto davvero, il sol pensiero di non saperlo e di non averlo saputo prima di oggi mi terrorizza.
Il fatto è che io non posso fare finta di niente, perché quando si è scoperta la pancia e mi ha fatto vedere quei lividi e quei graffi, sono tremata. Tremata, come se qualcosa nella mia testa cadesse a pezzi.
E se è stato un tremore vederla ''accarezzata'' da mani violente, è stato un tremore notare cosa quelle mani violente le hanno messo in testa.
E cosa si fa in questi casi? Cosa?
Cosa si dice? Come si agisce?

martedì 6 dicembre 2016

Non ce la faccio più, voglio il cielo blu

Se ci fate caso è una di quelle cose che nessuno chiama mai col loro vero nome.
''Era una brutta malattia'', ''era una  cosa molto brutta'', ''era quella cosa là''.
E' come se le persone, nominandolo senza alcun remore, lo sentissero d'un tratto più vicino, a due passi dal viso, a due passi dalla lingua che ha osato pronunciare.
Devasta piccoli, ragazzi, adulti e anziani. Senza distinzione e ad occhi bendati. Come quando si gioca allo schiaffo del soldato: noi tutti con le spalle al muro e lui batte un colpo sulle spalle di chi gli è più simpatico.
Mi fermo a pensarci spesso, specialmente nell'ultimo periodo.
Si è quasi terrorizzati dal suo nome. Quando su internet spiegano cos'è non ci sembra quasi mai una cosa tanto grande. E' quel nome che incute terrore, fa venire la tachicardia, ti fa sbarrare gli occhi dalla paura.
E' quel nome che dissesta l'ordinarietà, è tutto ciò che c'è dietro quel nome che ci sembra una galassia di mali, una sorta di via lattea completamente nera e buia, in cui a fluttuare c'è solo il nero della morte. Quando penso a lui, penso ad una sorta di buco nero che si dilata e risucchia l'essere di chi deve liberarsene per sopravvivere.
Ma cosa sei? E perché fai morire le persone?

venerdì 25 novembre 2016

1500

Stiamo studiando un autore con la cui biografia sono molto a mio agio.
Il suo vissuto, le sue potenzialità e purtroppo anche la sua infermità mentale, si rispecchiano in me.
E' un autore dalla personalità fragile, quasi di vetro sottilissimo. A primo impatto, potrebbe anche risultare senza personalità: rende se stesso e la propria arte conformi alle aspettative dell'epoca in cui vive, propone gli stessi modelli che proponevano tutti gli altri, è propenso ad accettare le idee che accettano tutti gli altri - solo per timore della critica che potrebbe essergli fatta per la sua diversità di pensiero -. Si sente attaccato, puntato, perseguitato dalle critiche.
Pretende il massimo da sé stesso e per ogni suo tentativo vorrebbe essere gratificato, vorrebbe essere celebrato. Desiderava delle attenzioni che, poiché nessuno gliene concedeva, lo portarono ad essere una macchina scrivente di un'epoca in cui tutto deve essere conforme, tutto deve essere necessariamente approvato per esser reputato bello. Desiderava ottenere il massimo e si autoflagellava sminuendo la sua arte, dando per scontato il suo talento e sprecandolo a scrivere non ciò che l'ingegno dettava ma ciò che l'epoca richiedeva.
Pensate, riscrisse la sua opera più famosa quattro volte, perché gli ''editori'' reputavano inadeguati alcuni temi sostanziali.
Si sentiva addosso, perennemente, degli occhi che non esistevano. E si faceva paranoie su storie mai accadute.
Aveva un modo strano di vedere le cose e studiare questa stranezza dal punto di vista di uno studente mi ha sorpreso non poco. Credeva che dei folletti gli rubassero i fogli su cui scriveva e che i suoi insuccessi non fossero altro che una maledizione di un qualunque mago a cui stava evidentemente sul cazzo.
E' una personalità stramba, curiosa, dannata. Il suo dissidio interiore, il suo dissidio tra l'essere se stesso e l'essere ciò che è giusto, lo ha portato all'eterna dannazione e all'eterna sofferenza.
Mi ci ritrovo tanto e mi ci ritrovo poco. Resto ad occhi sbarrati e mi sembra un autore reale, vivo, adatto a descrivere anche il vissuto di chi non ha vissuto le sue esperienze.
Vi invito a riscoprire la personalità di Torquato Tasso, potrebbe sorprendervi.

Richieste del mercato

Ho spesso pensato che fosse quel numero
a stordire gli occhi di chi non ci conosceva.
Ho pensato che fosse quel numero rovesciato accanto al 3
a far spalancare bocche, corrugare fronti, istigare menti.
Ho pensato che quel numero fosse lo spartiacque
di me e di te, insieme. E adesso
penso che quel numero assieme a tutti i suoi predecessori
siano suppliche, bandierine bianche levate dal basso fronte.

mercoledì 23 novembre 2016

Io, la luna, l'apogeo. Non sono in pace neanche quando creo



Attorno a me ciondolano dai soffitti, dai balconi, dai rami degli alberi per metà spogli, idee e spunti e parole che mi accendono l'anima e rendono i miei macigni sullo stomaco ancor più pesanti.
Pendolano persone alla fermata degli autobus, sono personaggi visionari quelli che - appoggiati ai muri della palestra -  ripetono storia mentre io cerco risposte nelle domande che mi pongono i libri di letteratura nello zaino, che stamattina non è poi così pesante.
Attorno a me, brulicano parole. Parole che non sono mie.
Potrebbero esserlo, ma la mia mano le fa essere solo e semplicemente copie. Copie delle copie delle copie.
Sento le mie parole vuote, come le O che colore nelle ore estenuanti di greco e sì, mi sento disinteressata.
Nessun colpo di genio, nessun improvviso tuono di ispirazione, nulla che desti la mia attenzione.
E' come quando da piccoli pensavamo di poter prendere le formiche e farle camminare sulle nostre dita. Le formiche sono così piccole ed era così difficile riuscire a prenderle. Ecco, è così con le idee. Tanto piccole quanto insignificanti, non riusciamo a farle correre sulla nostra pelle, non riusciamo a coglierle nel momento giusto. E' perché sono piccole? E' perché sono inutili? No, siamo noi a non esserne in grado.
Più si vorrebbe scrivere, meno si scrive. Più ci si impone di trovare via d'uscita in quello che è il blocco dello ''scrittore'' e meno si riesce.

E mentre sbuffo e getto l'ennesima carta nel cestino, l'ennesimo file sul computer, l'ennesima sensazione che mi attorciglia la mente e fa soqquadro nel mio stomaco, mi fermo, prendo fiato, mi rilasso.
Ho finalmente scritto, pensando di non avere nulla da dire e pensando di non sapere come dirlo.

lunedì 21 novembre 2016

Riflessione embrionale


Non vorrei rifiutarmi di amare, sì
solo per paura di soffrirci. 
Sarebbe dire 
''rifiuto di vivere qui, 
per paura di morirci.''


Ho osato pensare che la nostra vita sia un aeroporto e che chi va e chi viene, chi viene spesso e chi va sempre, siano solo passeggeri.
Sì, è comodo pensarla così. E' comodo avere la scusa a portata di mano.
Io, nella vita degli altri, mi rifiuto di essere solo una passeggera. Ho viaggiato, ho vissuto, ho creduto, ho sperato ed ho pianto, mi sono liberata, mi sono incatenata e no, non ritengo di essere una passeggera.
Al diavolo chi parla di esperienze, chi minimizza i sentimenti propri o degli altri e chi sintetizza il tutto con poche frasi di circostanza.
Il viaggio sarà anche stato poco piacevole, il check-out sarà anche stato necessario perché no, non si può e non se ne può più, eppure rimane un viaggio. Un viaggio che matura con noi e che maturerà ancora, un percorso che permette di conoscere e soprattutto, di conoscere se stessi.
Ho visto, ho compreso, mi son chiesta perché.
Le persone nella mia vita non sono passeggere perché ad ogni segno c'è un ricordo, ad ogni ricordo c'è una persona e sì, noi esseri umani siamo a nostro modo importanti, pur se piccoli, minuscoli, simili a microbi rispetto al gigantesco ego della nostra psiche umana.
Non siamo passeggeri di niente. Siamo persone che crescono, che evolvono o progrediscono nei sentimenti, persone che sono persone, che riflettono e si pentono, che riflettono e si convincono.
No, non sapevo cosa volevo ma sì, adesso so cosa voglio. Sì, sapevo benissimo quali sono i miei punti deboli ma no, non sapevo come mascherarli. Ho imparato a nascondere la mia sensibilità? Sì, ho sempre saputo come. Ho imparato a dimostrarmi fragile con chi merita di sapermi fragile? No, ci devo ancora lavorare. Devo imparare ad aprirmi in modo diverso con le persone, devo imparare ad essere trasparente alcune volte. Dovrei imparare anche a non sbagliare volo, dovrei imparare anche a sedermi al posto giusto, dovrei imparare come veramente si può condurre un volo tranquillo, senza troppe deviazioni e dovrei imparare anche a smetterla di pensare stronzate e ammettere di essere passeggera nella vita di chi non mi ha voluto, perché è sempre così: si è sempre passeggeri di qualcuno e si è sempre aeroporto di qualcun altro. Il resto è superfluo, il resto non vale niente, i sentimenti non valgono niente, vale solo il costo del biglietto e la durata del viaggio.

venerdì 18 novembre 2016

Dov'è questo potere dell'amore se poi è l'amore per il potere che consuma le persone?

Crescere è regredire.
Crescere è la tomba del sentimentalismo, della spontaneità, della creatività e soprattutto della concezione di famiglia.
I grandi pensano solo ai soldi, al lavoro, alla macchina pulita. Sono incapaci di dimostrare affetto e tutto è proiettato al difendere i propri interessi.
Crescere li porta ad essere calcolatori, dissimulatori e l'unica cosa a cui vogliono bene è la realizzazione. L'unica cosa a soddisfare quest'obiettivo di vita che punta in alto è il successo nel mondo del lavoro. E' l'unica cosa che li fa sembrare vivi, l'unica cosa che li rende umani.
I loro rapporti sociali sono finti: ognuno pensa a sé e se vogliamo essere generosi diciamo che ognuno pensa a sé e la propria famiglia.
Quelli che sono i genitori, i fratelli e le sorelle diventano coloro che non danno o non dividono il patrimonio o le proprietà immobiliari e tutto ciò che un tempo era vita diventa uno stremante desiderio di volere di più, di meritare di più e si è convinti sempre più che è questo quello che conta nella vita.
Nella vita contano i soldi, il lavoro e il sopravvivere da sé.

mercoledì 16 novembre 2016

Amori miei

Sono molto lunghi. Sono molto belli.
Ma anche crespi, secchi, bruciati, rovinati dalle mie continue tinte e dai miei continui cambi di prodotto.
Posso dire di voler bene ai miei capelli. Il che è stupido, lo so.
I capelli lunghi mi accompagnano dalla seconda media e dopo vari tagli e sforbiciate alle doppie punte, arrivano sotto il seno (all'altezza del mio ombelico e a circa cinque centimetri dal sedere).
In questi giorni lavare i capelli è diventato uno strazio: ci metto in media due ore e venti minuti a snodare quella matassa senza senso di capelli. Forse è giunto il momento di tagliarli.
Passo ore ed ore allo specchio a piegarli e a fissarli con delle mollettine, in modo da poter vedere come starei senza i miei amatissimi capelli. E più penso ai miei capelli sul pavimento del salone di una parrucchiera, più li annuso e li accarezzo come se fossero i capelli magici di Rapunzel.
Ci sono così affezionata.
Adoro quando tira vento e mi frustano il viso e adoro quando piove e si arricciano talmente tanto da farmeli adorare ancor di più.
Tagliarli sarebbe una cosa abominevole. Una cosa che vorrei non dover fare.
Una cosa che non farò per nulla al mondo.
Carissima parrucchiera di fiducia, accontentati di al massimo tre dita. Accontentati di tre dita dei capelli più bruciati che tu abbia mai visto.
I capelli corti non li porterò mai.

sabato 12 novembre 2016

Metà del tempo a farsela e metà a farsela scendere, il tempo non lo puoi comprare, lo puoi solo vendere



C'è una crepa nei miei occhi e con le parole hai saputo spezzarli. In due metà, perfettamente uguali. Cocci di un verde spento a cui non è dato né di piangere e né di mettere a fuoco.
A volte pensiamo di tagliarcene fuori, pensiamo che sia meglio far delle crepe sui legami e creare distanze, pensiamo di poter sdoppiare la realtà. Pensiamo che fare un passo indietro ci aiuti a stare più con noi stessi, ci aiuti ad essere più riflessivi ma più impetuosi nel nostro piccolo mondo fatto di idee, nel nostro piccolo mondo illusorio in cui tutto si muove e tutto prende vita ad opera nostra, con uno schiocco di dita.
Pensiamo di tirarci indietro e non è così, perché in certe cose veniamo buttati fuori, con un leggero calcio nel sedere, per lo stesso motivo che ci porta a desiderare di esserne privi, di poter farne a meno, di esserne scaraventati fuori, come dall'ultimo strato di magma terrestre fino all'ultimo 
strato di nuvole bianche.


giovedì 10 novembre 2016

Damnatio memoriae

Cammini nelle catacombe del mio modo d'essere.
Macabro, lugubre. Io so di morte.
Deturpato, putrefatto. Distruggi ogni mia nicchia.
Disonorami, repelli e depenna il mio nome.
Che si ricorra alla damnatio memoriae.
Il disfacimento è in atto.
E, come Nerone con la sua Roma, guardami bruciare
e gioisci.

mercoledì 9 novembre 2016

Sometimes it feels like the world's on my shoulders

L'insoddisfazione è una bestia che t'azzanna e ti possiede. Ti possiede senza il tuo consenso, senza alcuna provocazione. Non ci si accorge nemmeno del suo inganno.
È psicosi, la definirei un tic nevrotico che decapita le mie speranze e le mie aspettative e mi rende incoerente, pragmatica e dinamica nei comportamenti. Sostanzialmente puntigliosa e ipocrita nel mio modo d'essere e perennemente scocciata per parlare, spiegare, autocommiserarmi. 
Insoddisfazione. Che brutta parola. Che tormento. Che rabbia. E che cazzo.

lunedì 7 novembre 2016

La persona che mi ha fatto immensamente soffrire

Comprendo.
Adesso capisco. Adesso so, perché l'ho sentito sulla mia pelle. Adesso so come ci si sente, adesso so cosa si prova, adesso so quanto è difficile.
Capisco che significa dover dire no ad una persona con la quale non si ha coraggio.
Adesso capisco quale sia stata la ragione che ha portato il mio passato a lasciarmi andare: a certe persone, a certe situazioni, a certi sentimenti semplicemente non siamo cari. Non sono veramente affezionati a noi,non darebbero la vita, non c'è alcun affetto.
Capisco anche con quale difficoltà mi abbia lasciata andare chi oramai fa parte del mio passato e rivedo nelle cose che faccio oggi, le cose che facevano a me mesi e mesi e mesi fa.
No, non mi fa più male. Mi fa male pensare che la persona che mi ha fatto immensamente soffrire sono io, adesso, per lui. Mi fa male pensare di essere ciò che ho odiato quando dall'altro lato della medaglia c'ero io.
Mi dispiace, è finita, ho tremila scuse, tremila balle da dire per convincerti che c'è una motivazione per cui è finita e invece no. Invece non è proprio così.
E' finita perché non mi sono mai davvero affezionata, è finita perché quando sto male tendo ad allontanarmi e mi sento sola, sola, troppo sola. E' finita perché per me non è mai iniziato niente. Perché nel mio mondo esisto solo io, io coi miei malesseri, io coi miei pensieri, io coi miei sfoghi. Nel mio mondo non c'è posto per nessun altro se non per me.E' finita perché ti ho tagliato categoricamente fuori dalla mia intimità fin dal primo giorno, fin dal primo istante.
E' questo quello che devi sapere, il resto di ciò che dico e il resto di ciò che potrei scrivere è solo una scusa.



venerdì 4 novembre 2016

La via del vuoto


A un passo da te.
A un passo da un buco di emozioni che risucchierebbe la mia paura di volermi bene, a un passo dall'abbandonarmi ed incarnare una versione distorta, confusa del mio silenzio.
A un passo dal serrare la mia paura nel bianco pallido del mio viso, a un passo dal poggiare i piedi al suolo e smetterla di farli tremare.
A un passo dall'oasi, a un passo dalla tana del lupo - la mia tana -.



Ogni viaggio inizia sempre con un passo. 
Percorri la via. 
Conta solo su te stesso. 
Cammina sul sentiero d'acciaio.
Perché il destino ora esige il suo tributo. 
Sei sulla via del vuoto.

mercoledì 2 novembre 2016

Quando la pioggia non viene da sopra cade sotto il tuo stesso ombrello

Sembra sempre che io sappia cosa fare.
E il trucco è proprio questo: dare l'impressione di sapere cosa fare. Di saper prendere una scelta indifferentemente, che poi qualunque cosa sia fa lo stesso.
E' un'immagine di me che ha condizionato me medesima sotto ogni aspetto.
Parto prevenuta: ciò che inizio so che non lo porterò a termine, ciò che mi fa male all'inizio so che mi farà male uguale alla fine del percorso e soprattutto, so di essere indifferente all'inizio così come alla fine.
Sembra facile così, sembra naturale. Eppure non è né facile e né naturale, probabilmente non lo è per nessuno.
Vorrei poter dire di aver faticato, di aver fatto forza sulle mie gambe. Mi è indifferente anche insinuare questo. Mi è indifferente qualsiasi cosa.
Dare spiegazioni, cercare spiegazioni, ascoltare spiegazioni, cercare in me stessa, offendermi o indignarmi, volermi bene o volermi morta.
Indifferente.
E' stata una constatazione scontata. Quante persone me l'hanno detto? Quante volte l'ho pensato?
Nella mia mente c'è un essere che sbatte la sua essenza sulle pareti del mio corpo, della mia mente, della mia prigionia.
E' stata un'insinuazione cattiva, che mi fa pensare:''Benvenuta sulla terra, c'era bisogno che te lo dicesse lei?''.
Sì. C'era bisogno che me lo dicesse lei. Vaneggiavo nelle mie fantasie, nei miei desideri, nelle cose mie.
Mi si sono asciugate le labbra, mi si è chiuso lo stomaco ed è così ogni volta.
Ma tu fai finta di niente, ridi, parli, ignori. Indifferente. Interiorizzi le situazioni e scrivi solo ciò che ti fa comodo.
Mi è indifferente anche scrivere, adesso.

L'Occasione

La sentì parlare e si avvicinò a lei, forse per ascoltare meglio.
- Sai, forse il mio problema è che non voglio ammettere di sentirmi sola.
Dichiarò guardandolo accanto a sé, mentre aggrottava le sopracciglia come se non capisse a cosa si riferiva.
- E' un isolarsi che voglio io, sono io che decido di allontanare le persone.
Stettero in silenzio per un po', nessuno dei due sapeva come spezzare quell'opprimente silenzio.
Camminavano per conto loro, pur se vicini. Lei con le mani nella felpa in cui sentiva freddo, lui dritto nella sua compostezza, a passi leggeri e felpati.
Quando la superava di troppo, scaricava il peso in avanti e aspettava che lo raggiungesse.
- Che freddo che fa oggi. Ma quale persona normale si veste così l'ultimo di ottobre? Eppure avevo immaginato che facesse così freddo.
Continuò.
- Che fai stasera?
La guardò ancora una volta interrogativo. La sua espressione la metteva in imbarazzo, l'agitava. E lei odiava sentirsi agitata. Perché la agitava? Perché non le parlava?
- Non guardarmi così. Ti sei mai sentito come se sbagliassi in ogni cosa? Come se fossi ... come se avessi ...? Ecco, io mi sento così. Come se non capissi niente, come se nessuno volesse capirmi e devo capirmi da sola. Ti sei mai sentito come se nessuno ti capisse?
Lui restò in silenzio, sbigottito - forse -. Non avrebbe saputo né cosa dire né come dirlo, dopotutto. 
- Mi fai sentire morta. Mi fai sentire un fantasma, tutti mi fanno sentire così.
Sbuffò, lo guardò per poi abbassare lo sguardo ed imboccarono insieme  una strada senza lampioni che lei non avrebbe mai imboccato se fosse stata sola.
Era una sorta di scorciatoia per arrivare prima in centro.
Seguirono attimi di rassegnato silenzio e alla vista dei negozi e dell'Uomo del kebab il Cane Senza Collare abbaiò. Si voltò verso di lei che era rimasta di qualche metro più indietro ed immaginò che sussurrasse a se stesso: ''Adesso sei tu che non capirai me''.
Si gettò nella folla, si lasciò alle spalle la strana signora dai capelli strani e continuò per la sua strada.
Non la salutò perché i cani non salutano, non la confortò perché i cani non confortano.

- Avresti potuto farmi compagnia almeno fino al prossimo incrocio.

domenica 30 ottobre 2016

Il Piton che ci piace

A proposito di Harry Potter ...




Fare il professore, sotto molti aspetti, è uno dei mestieri più belli al mondo.
Lo guardo negli occhi di Piton, lo chiamiamo tutti così, anche se assomiglia davvero poco a Piton. Porta i capelli non proprio corti, ma a differenza di quelli dell'antipatico Piton i suoi sembrano lavati e abbastanza curati. Non si veste nero, anzi, tutt'altro: felpa blu da pescatore e pantaloni marron cacca con sfumature verso il beige sono il must del mese di ottobre. Scarpe alla cazzo, tipica valigetta da professore e si va ad assomigliare ad Alberto Angela, più che altro.
Non ha figli, è sposato da poco e a detta sua ha finito il liceo ben 20 anni fa ed è uno che nella vita ha fatto di tutto e soprattutto, ha studiato di tutto.
Ce lo fa notare lui stesso, le sue lezioni sono come delle lezioni universitarie e penso che nessuno nella nostra classe riesce a non essere coinvolto dalle sue spiegazioni. La storia e la filosofia non sono mai state così interessanti come lo sono adesso e soprattutto nella storia non c'è mai stato tutto il ragionamento che c'è con lui.
Gli piace insegnare, glielo si legge negli occhi: può entrare in classe con l'aria di quello a cui girano le palle, può chiamarci col cognome a mo' di rimprovero (e quando ci chiama col cognome è panico), ma poi si quieta nel momento in cui dice:''Datemi un manuale di storia, vecchia e nuova edizione''.
Quell'uomo è in terapia quando lavora.
Quell'uomo, qualunque sia il suo stato d'animo, è in estasi quando si tratta di insegnare.
Sembra che ci voglia bene perché vuole bene al suo ''mestiere'', vuole bene alle materie che insegna, vuole bene alla nostra ignoranza e si preoccupa di far capire tutto a tutti, si preoccupa di sentirci parlare quando alziamo la mano ed è un dibattito.
Una specie di congresso. ''Io penso ... '', ''Secondo me invece ...'', ''Sono parzialmente d'accordo con ...''.
Insomma, è uno di quei professori capaci di insegnare a 360 gradi.
Non è storia, non è filosofia. E' storia, filosofia, economia, attualità, giurisprudenza e letteratura.
E' un contestualizzare a 360 gradi, imprimere tramite immediati collegamenti qualunque cosa - sia passata che futura, sia causa che effetto -.
Gli appunti di storia e filosofia sono enciclopedie, giuro.
Eppure, c'è un solo difetto da chiarire. Purtroppo sono solo 3 ore di filosofia e 3 ore di storia, purtroppo. 

giovedì 27 ottobre 2016

Cliché


Giorno 1.
Grigio, tutto grigio.
Il Monte Somma non è che grigio.
Volano le gazze intontite dal né luce e né scuro.
Piove o non piove? Non c'è rumore e non c'è pace. Non è colore, non è vento, ma è freddo.
Piove acqua grigia. Di un grigio che sa di terapia intensiva, di un grigio che sa di malinconia.
Alle sette è ancora buio, alle cinque è già notte. Malinconia.
Nostalgia, quanto mi mancano le giornate che non passano mai?
Ogni ora che non passa si aggiunge un condannato agli stormi, non si muovono d'un passo i pini piantati nel cortile di scuola né quelli del cimitero a due passi da qui. E' tutto così tetro, triste, pesante.
Ogni ora che non passa leggiamo un frammento di Eschilo in più, ogni minuto che cala su questo giorno senza luce mi avvicina a domani. Domani, domani e domani.
Passato e presente, presente e futuro. Memoria e consapevolezza, consapevolezza e aspettativa.
Hinc et hunc, qui ed ora. Adesso, proprio adesso.
L'Orestea mi è piaciuta, molto più de I Persiani. Che giornata, che pioggia, che silenzio, che tristezza, che fame.
E' pesante, è triste, è un omicidio ... Quando passa 'sta giornata?
Voglio almeno i lampi, i tuoni, il vento che tira forte e gli ombrelli che si spezzano sotto la pesantezza della pioggia. E' pesante, strano, inquietante.

mercoledì 26 ottobre 2016

Avere a che fare con me

La differenza tra me e le altre persone, o forse più realisticamente l'unica cosa che mi avvicina a loro, è il bisogno di far traboccare invece di traboccare.
Ignorare la propria situazione complicando quella altrui, accusare invece di ascoltare.
E' un qualcosa che ho vissuto ad occhi sbarrati, un qualcosa che i miei occhi non hanno mai realizzato.
E' un qualcosa di irreversibile che non focalizzo mai, mai, mai. Ma basta poco per finire sotto un treno: te la scampi una, due, tre volte, poi bastano tre parole messe in fila a farti rabbrividire e strabuzzare gli occhi:''Ma tu che c'entri?''.
Già, ma io che c'entro?

venerdì 21 ottobre 2016

Abbastanza

Adeguarsi. 
Ti adegui a dei ritmi, al cibo della dieta, ai voti dei tuoi professori, al poco lavoro che il tuo paese offre, ti adegui ai tuoi sentimenti e a quelli degli altri, ti adegui a ciò che pensano di te, ti adegui a quello che non vuoi pensare su te stesso. Ti adegui alle sigarette di 2,30 perché le marlboro costano troppo, ti adegui alla sveglia delle sei e mezza, ti adegui ai giorni di caldo e ai giorni di freddo, ti adegui a ciò che gli altri vogliono fare della tua vita, ti adegui al coprifuoco che ti dà papà. Ti adegui a ciò che rientra nei parametri di ciò che puoi dire, ti adegui a rientrare nei limiti d’età secondo cui dovresti laurearti. Ti adegui a ciò che il tuo partner vuole che tu faccia, ti adegui a quello che di sabato gli altri vogliono fare. Discoteca? La odi ma ok. Pizza? Va bene comunque, niente? pure meglio.
Adeguarsi.
Ti adegui all’immagine che hai di te, ti adegui a un’idea che ti sei fatto negli anni, ti adegui alle solite canzoni che hai sul cellulare perché ti scocci di scaricarle da internet. Ti adegui ai ritmi estenuanti di una vita che non ti permette di esagerare. O sei proprio tu che vuoi adeguarti? O sei tu che rinneghi l’esagerazione per non esaltarti in alcun modo?

événement


Sono sensazioni senza nome.
Le riconosci perché sono le stesse di un solo momento, di un unico istante.
Sono circoscritte ad un unico attimo della giornata e ne parli come se non potessi dire altro che, ad esempio:''Ecco, la sensazione del venerdì mattina alle nove, quando so che ho un intero programma di fisica da recuperare''.
Oppure:''Ecco, la sensazione di quando lui mi accusa e non voglio controbattere, non perché non voglio discutere ma perché sono rassegnata, senza parole da dire, senza nulla che mi interessi''.
Sono sensazioni che non possono essere spiegate.
''Ecco, la sensazione di quando mi dicono che sono fredda e non riesco a non pensare di esserlo con tutti quanti, compresa me stessa.''
Sono sensazioni che non possono essere solo capite, a sesto senso.
Ecco, la sensazione del venerdì pomeriggio e del sabato pomeriggio quando faccio lo shampoo due giorni di seguito e passo ore ed ore sotto al calore dell'acqua, che mi bagna e mi rilassa.

lunedì 17 ottobre 2016

Tutto molto semplice

Frizione, acceleratore. Tutto molto semplice.
Metti la prima, in basso la seconda, piano piano.
Nella rotonda tocca leggermente il pedale.
Smettila di ridere e fai la seria.
Come cazzo si frena, che devo fare, non urlare, concentrati.
Non fare la stupida.
Attenta al palo, rimani dritta, non accelerare porca troia, porca puttana non ridere.
Non ti montare, sto andando benissimo, com'è che si frena, come si mette la freccia.
E così procede la mia prima guida.

giovedì 13 ottobre 2016

Una nostalgia che mi sbrana

Non contano i chilometri
o le città che ti portano lontano
mi basta sapere di non sapere dove sei
o a che ora torni a casa.
La tua barba si è fatta bianca
e il mio corpo non è più quello di una bimba.
Come potresti non saperlo,
parti e sono già cresciuta, torni ed ho diciotto anni.
Vorrei che le candeline le spegnessi insieme a me.

mercoledì 12 ottobre 2016

Le cose migliori si fanno da soli?

C'entra poco, ma sono fortemente colpita. 

Essere soli è una condizione che pesa solo quando non si è in pace con se stessi.
Aggrapparsi a qualcuno o qualcosa, significa cercare in silenzio un pretesto che ci distragga da quella cosa che ci assilla e non vuole essere ignorata.
Chi sa stare con se stesso, sa piegare le ginocchia quando serve e soprattutto, sa essere la forza motrice di chi ignora questo qualcosa che blocca il marchingegno che è la nostra ''coscienza''.
Quando parlo di queste cose non so se riferirmi a una cosa chiamata ''anima'', una cosa chiamata ''cuore'' o intercalanti del genere. Mi sembra assurdo ricorrere anche alla parola marchingegno, mo' che ci penso.
La filosofia è piena di queste considerazioni, l'anima è cuore o cervello? L'anima è fusione o coscienza o sintesi della morale? In un tema in prima superiore scrissi che l'anima, probabilmente, è un qualcosa che esiste e non può essere spiegato, un qualcosa che è noi (non in noi) ed è quindi banale cercar di capire dov'è che risiede, in riferimento a un testo che leggemmo in classe. La professoressa C. mi mise sotto pressione.
- Espò, è un qualcosa? L'anima è un qualcosa? Devi correggerlo.
Non l'ho mai corretto. Mi ci applicai, mi ci fissai, ma non riuscii mai a correggerlo. Probabilmente, in qualche archivio del mio liceo, in qualche cassetto, in qualche cartellina, su qualche spilletta a righe c'è ancora scritto che l'anima è un qualcosa.
L'anima cos'è?
Cos'è che ci fa avvampare e cos'è che ci raggela? Qualche presocratico scrisse che avviene il tutto tramite sensazione. Ciò che è fuori viene attratto da ciò che è dentro e il nostro corpo reagisce. Tutto troppo astratto, tutto troppo ''empirico'' per soddisfare questa mia richiesta pratica.
Qualunque cosa sia, la mia anima non è in pace col mio corpo.
La mia essenza, non è agiata nelle cose che dico o che faccio, per nulla.
Chi ha un conto in sospeso con se stesso è riconoscibile fra mille: o si costringe a stare solo dimenticandosi di stare addirittura con se stesso oppure fa di tutto pur di dimenticarsi che quando tornerà a casa la sera sarà solo con quello che di giorno non è riflesso negli specchi della nostra coscienza.
Chi non ha alcun conto in sospeso, chi gli atti da firmare non li sa ancora leggere, chi non può arrendersi a se stesso perché non sa neppure cosa sia successo è un po' meno riconoscibile: ''ok'', ''sì'', ''uhm uhm'', ''va bene'', ''ok''.


martedì 11 ottobre 2016

La fiaba dell'invidia


C'era una volta una bambina biondissima
che odiava i suoi capelli biondissimi.
Che stupide le treccine, stupida
che stupidi i tuoi capelli, stupida.
C'era una volta una parrucchiera invidiosa
che crespi i capelli, che crespi
che lunghi i capelli, che lunghi
che biondo, che biondo.
Forbici e pennello, e c'era una volta
una bambina castana.
Una bambina stranita.

lunedì 10 ottobre 2016

Le complicanze disegnate a mano dalle distanze

E così, ogni lunedì, dopo tre giorni ogni due settimane, mio padre torna in Lombardia.
Torna col maglione e parte con la maglietta a mezze maniche, torna con la stessa espressione di chi aspettava qualcosa da molto tempo, parte con la stessa espressione di chi ha avuto poco per poco tempo.
Questa questione della crisi di lavoro sta prosciugando mio padre e sta prosciugando la mia famiglia.
Pensate a un mondo senza soldi, senza televisioni, bollette, corrente, solo acqua e un posto in cui dormire. Pensate se si potesse vivere senza alcuna pretesa, senza partire, senza tornare, senza preoccuparsi di non poter portare qualunque cosa avanti.
Questa volta mi è pesata più di qualsiasi altra volta.
Se fosse necessario, me ne andrei all'istante, pur di non dover sopportare di vedere mio padre abbracciare mia madre come se stesse per finire qualcosa, di vedere mia sorella sdraiata sul letto aspettando che papà le faccia un audio in cui la saluta.
Pure in Groenlandia, basta che siamo tutti insieme.

sabato 8 ottobre 2016

Proverebbero a tenerti tutti, sì, ma non me

Non fa per me.
E mi vergogna anche pensarlo.
Credo di poter aspirare a un pochino di più, pur sapendo che l'affetto non si compra con l'esteriorità.
Semplicemente, credo che non faccia per me in ogni senso, se escludiamo per un momento l'aspetto fisico.
Non trovava parcheggio ed era arrabbiato, se l'è presa con un uomo che aveva indubbiamente parcheggiato male e non è stato assai cortese ed educato. Dentro di me, mi son sentita sprofondare. Dall'imbarazzo, dalla mortificazione, dalla vergogna. Queste scene le ho sempre viste dall'altra faccia della medaglia e stare, adesso, su quella stessa faccia che ho tante volte disprezzato mi fa sentire in pena con me stessa.
E' scostumato, per quanto riguarda queste faccende. Ed io lo odio, lo odio immensamente perché così faceva mio padre  e così fanno le persone stupide, senza alcun rispetto, per l'appunto.
E' necessario dire che però mi tratta bene. E' premuroso, s'interessa, è sempre in pensiero. Sa essere assai affettuoso, con me. Ma nonostante questo, continuo a pensare che non faccia per me.
Si attacca troppo, vuole infiltrarsi troppo in certe cose e a volte non sopporto le sue stupide battutine.
O non sopporto questa sorta di intimità che vuole che si crei quando siamo tra la gente.
Farmi toccare il culo al centro commerciale o farmi palpare le tette al cinema, accanto a una mandria di bambini nella sala di ''Alla ricerca di Dory'' non è quello che intendevo quando dicevo di voler essere desiderata da un uomo.
Credere di essere la sua prima volta non è propriamente corretto, eppure si avvicina a quella che è la realtà: la sua famiglia non gli ha permesso di vivere nello stesso posto per più di un anno, si è spostato tanto ed è quel tipo di persona che coltiva sentimenti online. Me lo ha detto lui stesso: ''Ci vediamo lo stesso numero di messaggi che ci inviavamo io e V.''.
Essere la sua prima volta sapete che vorrebbe dire? Vorrebbe dire che se solo azzardassi dopo quasi due settimane a mollare tutto, ne farebbe una tragedia. Ne farebbe una soap opera.
A volte penso:''aspetta ancora un po', magari è presto per poter decidere'', a volte penso invece:''che aspetti? vuoi che ti venga legata ancor di più la palla al piede?''.
Non vuole togliere la mia indipendenza, non vuole che rinunci alla mia vita alle mie passioni e ai miei amici - di cui è gelosissimo -, ma ogni volta che se ne parla storce la bocca.
Devo fidarmi del suo affetto o del mio affetto per il mio essere sola?
Ho tante volte pensato di aver bisogno di qualcuno che mi volesse bene in questo senso, ma non così. Non in questo modo, non con questa persona.
Mi sento a mio agio, mi fa piacere stare con lui e mi fa piacere che qualcuno mi guardi con occhi diversi. E forse è proprio questo il problema: mi fa piacere che qualcuno mi guardi e mi voglia e non che mi guardi e mi voglia lui.

martedì 4 ottobre 2016

Non si può fare un edificio con il compensato

Sto evitando l'argomento.
Non perché non ne voglia parlare, non perché senta il bisogno di parlarne e non ci riesco. Semplicemente, non ne ho parlato ancora perché ho fatto l'abitudine, per fortuna.
C'è stato un periodo in cui ho tartassato di ''cambiamenti'' chiunque leggesse e quel periodo è ritornato qui da me. Forse per una seconda alleanza, forse per una nuova lega anti-me, non l'ho ancora capito.
Son dimagrita 4,300 Kg in ventidue giorni. Buon risultato, se prendiamo in considerazione anche le mille altre complicazioni. Son soddisfatta, spero di continuare così come sto facendo.
Ma ho tolto peso e triplicato il bagaglio sulle mie spalle. E a volte questo peso si fa sentire. Non perché mi dia fastidio, non perché sia troppo pesante. Pesa perché sono fondamentalmente quel tipo di persona a cui pesa ogni cosa.
E se mi pesassero gli altri, se mi pesasse un qualcosa che posso risolvere da me, sarei più propositiva. Ma soprattutto, sarei più positiva.
So che i miei difetti pesano a chi mi sta intorno. E so che pesano ogni secondo, ogni millisecondo, anche a me.
Apatica, fredda, insicura.
Sono questo.
E sentirselo dire ha convinto addirittura me stessa, la me stessa che ragiona sempre e comunque di testa sua, che si mette in qualsiasi casino pur di fare come pensa sia meglio.
Più cerco di non farlo pesare a chi mi vuole bene, più pesa. Più ignoro quei tre aggettivi del cazzo e più me li nominano a mo di polisindeto: ''Sei apatica, fredda, stronza, insicura, glaciale''.
E' una cadenza che mi si scrive addosso di sera e di mattina, mentre scrivo e mentre leggo, è una cadenza che strappa ogni pretesa.
E mi dico:''Ancorati, rimettiti in fila'', ma i miei piedi camminano da soli. 

Quando anche il greco e il latino diventano interessanti

Ammassate quindici ragazze in una classe di venti persone.
Sostituite una professoressa dalle calze giallo banana e la gonna verde pistacchio con un professore non molto alto, non troppo vecchio, con gli occhi azzurri e un tono di voce molto molto suadente ed immaginate che ne viene fuori.
Ne viene fuori un gruppo su whatsapp chiamato '' M. D. R. ti scoperei tutta la vita''.

sabato 1 ottobre 2016

Ottobre



Erano aranciate le mie labbra la prima volta
e aranciata è la rosa che hai lasciato sul cruscotto della macchina.
Profuma come dicevi profumavano le mie mani.
Il primo freddo
il primo vento
la prima volta.
E' invettiva contro il mio buonsenso.

venerdì 30 settembre 2016

So di non sapere

E' successo col test d'ingresso di storia.
Dodici domande da 1 punto, tre domande libere da non valutare.
Dire che ho fatto pena è riduttivo: 4 risposte corrette su 12. Le uniche ad aver preso voti così bassi forse siamo state io e la mia compagna di banco (lei ne ha fatto qualcuno in più, probabilmente).
Ero abbastanza in pena. La storia è sempre stata una materia che studio con piacere, davvero con piacere. E' rilassante. Ed un voto del genere non è che mi abbia dato chissà quale fiducia nelle mie capacità.
Mi sono chiesta perché ricordassi così poco, se il mio voto finale fosse meritato, se davvero fossi così intelligente e capace di relazionare ogni conoscenza, come dicono.
Insomma, tremila complessi per 4 punti su 12.
C'è stato chi ne ha fatti 10 su 12, chi 12 su 12, chi 8 su 12.
L'unica ad aver preso 4 su 12 sono stata io. O meglio, l'unica ad averlo preso onestamente sono stata io.
- Uaaaa, io sai che faccio nei test d'ingresso? Aspetto che il professore ce le fa auto-correggere e segno quelle giuste!
Me l'hanno detto quasi come a prendermi in giro, si può essere davvero così stupidi?, si saranno chiesti.
Ebbene, cari miei, la cultura non si compra. La cultura non si fa barando ai test di ingresso.
Continuerò a non saperne niente della storia dell'anno scorso, continuerò a ripassare a mano a mano gli eventi a cui si fa riferimento nei capitoli del libro di quest'anno, ma alla fine - alla fine di ogni test, oramai me ne sono resa conto - i miei 4/12 varranno i loro 12/12, o forse anche un pochino in più.
12 punti su 12 al test d'ingresso non vi compreranno la terza prova all'esame, non vi compreranno gli esami per entrare all'università, non vi comprerà la sincerità nell'ammettere di essere ignoranti.
Non c'è cosa più bella dell'imparare, dello scoprire i mille lati nascosti di un qualsiasi argomento e non c'è cosa più bella che sentire di sapere e saper fare qualcosa.
E' stato il test d'ingresso più deludente della mia storia da studentessa. Eppure, se mi si potesse dare una macchina del tempo e se si potesse barare in modo da alzare il mio voto, io sceglierei sempre e comunque il mio meritato 4 su 12.
E' solo così che si può crescere nella cultura, con la cultura. 

Ed io che sono


O non sappiamo chiedere scusa, o di scuse ne diamo fin troppe, o inventiamo fin troppe scuse.
E' un meccanismo senza scrupoli, una serie di rotelline nella nostra testa che o vanno in avanti o vanno indietro, a seconda delle persone con cui abbiamo a che fare.
Quando lo guardo dopo averlo picchiato a parole, non so chiedere scusa. Muoio per il senso di colpa, giuro. Mi si asciutta la gola, i miei occhi potrebbero urlare che mi dispiace, che sono una stronza, eppure sembrano privi di vita. Me lo dicono sempre, che divento glaciale in certi momenti e i miei occhi fanno paura. Fanno paura persino a me, quando nella mia mente risuonano i tre aggettivi terribili che ha usato: apatica, fredda, insicura.
Chiedo fin troppe volte scusa quando la colpa è solo mia, e sono scuse finte e fatte di plastica quando capisco che il bene può essere tutto e può essere niente.
Essere tutto, che significa? Essere tutto, essere la sola cosa.
Essere niente, che significa? Essere poco, se lo si avvicina agli altri tremila lati di un rapporto.

martedì 27 settembre 2016

E' stata una bella domenica

E' stato un gesto che solo chi mi ha amato si è concesso di fare.
La cosa più banale del mondo, un segno di affetto sincero e spontaneo seppur semplice e quasi sdolcinato.
Ci siamo sfiorati quasi con timidezza, come se scottassero le dita, come se tremasse la pelle, come un bimbo che cerca in tutti i modi di spegnere con un soffio il numero 1 sulla torta di compleanno.
Hai baciato i miei polpastrelli come fosse il bacio del buongiorno, come fosse un bacio di ordinaria mattinata, di un'ordinaria serie di baci. L'ho chiamata spontaneità.
Spontaneità che coloro di rosso, come i cuoricini che si disegnano sul banco.
Non lo chiamo colpo basso, lo chiamo esser sorpresi per un gesto inusuale, un gesto che ho cercato, cercato e ricercato, ed ho trovato solo sulla tua bocca.




giovedì 22 settembre 2016

Voce

I can hear it in your voice, can you feel me?
I can feel it in the air.


Certe cose, quando si vivono con gli occhi sbarrati, si incarnano dentro di noi e ci ritornano alla mente come fossero un film.
Rivedi certe scene, riconosci certe voci, rivivi dei momenti.
Rivivi delle cose che ti hanno fatto male e anche in quel momento sei senza difese.
Non ti tocca che sbarrare ancora gli occhi, fermare le mani che vorrebbero intromettersi e costringere te stesso a pensare che è solo un sogno, che è solo un banale ricordo.
Un sogno che ti fa tremare le mani, un ricordo che ti fa tornare bambino - con la paura di un bambino -.
Con la testa altrove, le mani piegate sotto le gambe, accavallate, ho visto me stessa piangere.
Ha pianto di nuovo per lo stremo, la bimba che è in me.

lunedì 19 settembre 2016

Certe volte vorrei piangere per provarti cosa so provare

Anche i sentimenti, prima o poi, si riducono a niente.
C'è sempre qualcosa che fa breccia, infuoca ogni prospettiva della nostra vita e poi si spegne all'improvviso. Non lascia cenere, perché si è cenere solo la prima volta, non lascia nulla.
Divampa ed è un fuoco che si richiude in se stesso.
Così come succede con la paura, così come succede coi valori in cui crediamo, succede anche coi nostri sentimenti.
Pensiamo di star provando una sensazione magnifica, senza simili, e poi ci accorgiamo che non è niente di che. All'improvviso crolla l'interesse, la simpatia, il voler lasciarsi andare e vorrei dire che è tutta opera del buonsenso.
Eppure no, non è buonsenso, non è razionalità, non è nulla di tutto questo. E' solo un'emozione che si spegne, un'emozione a cui potevamo dare un motivo ma poi viene rasa al suolo, con tanto di sale, come con Cartagine.
E' tutto passeggero. I sentimenti sono passeggeri, le emozioni sono passeggere, le persone sono passeggere, dura tutto troppo poco.

venerdì 16 settembre 2016

Buon inizio di anno scolastico, prof!

Lei lo odia il suo lavoro.
Odia i suoi alunni, odia il signor Savio che insiste sempre a farle bere il caffè, odia quando la trattano nello stesso modo in cui lei tratta gli altri.
Bussa, ma piano piano, in modo che nessuno la senta. Entra e certe volte non dice buongiorno e ci lascia fare quello che cazzo vogliamo. Parliamo al telefono, mangiamo, usciamo per la sigaretta sulle scale di emergenza o nei bagni in fondo al corridoio (la signora Pina è al piano terra adesso, finalmente al secondo piano si può fumare e stare tutto il tempo per i corridoi a non fare niente). Quando facciamo troppo casino batte la mano ossuta sulla cattedra e penso che dica a se stessa che ci odia tantissimo, tanto quanto odia tutta la sua vita per intero, partendo dalla nascita fino al settembre 2016.
Ma queste, sono solo supposizioni mie. Di me che siedo al primo banco e l'ho sentita dalla seconda superiore in poi parlare con suo marito al cellulare, di me che sono anni che vedo con quanta depressione questa donna in tutta la sua carriera di insegnante - oltre a fare, debbo dirlo, il suo dovere - mette i puntini sulle i nel registro di classe.
A lei non interessa quanto studiamo, cosa faremo dopo la maturità, quanto sappiamo o quanto abbiamo capito. Alle nove e venti si siede alla cattedra, alle dieci meno dieci iniziamo a spiegare e chi studia studia, chi non studia cazzi suoi. Non mette quasi mai debiti, ''non vuole avere problemi'' e guarda quel cazzo di orologio ogni secondo, ogni secondo, ogni secondo.
Ci odia, dal primo all'ultimo.
E' la persona più insoddisfatta di tutta la terra: 40 anni, cinque o sei lauree, un posto fisso, capelli stupendi, un marito che non la lascia nemmeno quando gli urla per telefono che deve fare la spesa, ma comunque depressa. Chiunque la guardi pensa che sia quel genere di persona che vuole tutto dalla vita, anche se effettivamente non le manca niente.
Nonostante questo, però, è umile. Gentile e posata coi colleghi, una stronza in astinenza con tutti gli altri.
Vorrei chiederle che cazzo c'è da essere depressi il secondo giorno di scuola. Anche a me stanno sul cazzo, anche a me farebbe piacere che prendesse fuoco quest'istituto di merda, eppure non ho quell'aria affranta da tizio pronto per la ghigliottina. Che cosa triste.
Entra, ci alziamo, ''Buongiorno prof'' e tu manco rispondi. Assomigli a Maria Antonietta d'Asburgo al momento dell'esecuzione, sai?
Eppure hai la mia stima. Sei una stronza di merda, di un'antipatia unica ma mi sei di esempio. Tra vent'anni vorrei avere tutte le sue conoscenze, vorrei sapere tutto quello che sa lei (ed è una che sa tutto, e se dico tutto, intendo tutto). Certo, vorrei anche i tuoi capelli ricci castano biondi, vorrei avere le tue lauree ma grazie, potrei fare a meno della tua stronzaggine.
Non ti sopporto, mi innervosiscono i tuoi comportamenti, ma per me rimani la prof stronza più acculturata di tutte. Ricorderò quello sguardo da donna in preda alla peste di cui parla Lucrezio, ma ricorderò anche quelle pagine e pagine di appunti che prendo mentre parli.
Sì, mi piaci solo quando parli delle materie che insegni. Rimpiangerò il liceo, rimpiangerò questi anni - i più belli di tutta la mia vita, lo giuro - e rimpiangerò anche il tuo sapere così tante cose ed il tuo modo di continuare a presentarti a scuola nonostante odi il tuo lavoro (e tutti quelli attorno a te).
Buon inizio di anno scolastico, prof!

mercoledì 14 settembre 2016

Everyday

Sarebbe complicato.
Lo dico sempre, per ogni cosa, a mo' di scusa, a mo' di giustificazione se nel caso non riuscissi.
Pensa di meno e vivi di più, me lo hai scritto ieri sera. Ed io quasi mi sono offesa, perché una cosa che odio sentirmi dire è la verità.
Pensa di meno e vivi di più, pensa di meno e vivi di più.
Mi hai detto anche che ho zero fiducia in me stessa. E sì, ti ho mandato a 'fanculo e sì, mi dispiace.
Pensa di meno e vivi di più; una volta lessi una delle tante frasi fatte su quelle stupide pagine di facebook: i veri ed unici limiti sono quelli che ci poniamo nella nostra mente, o una cosa del genere.
Eppure, sarebbe complicato. Lo ripeto, sarebbe complicato.
Sarebbe complicata la cosa in sé, non sono limiti, né giustificazioni. Certe volte certe cose non accadono perché non possono accadere, sarebbero complicate, ed è inutile cercare di forzare questo meccanismo di cose che giostra la nostra vita.
Non so rischiare, non ho fiducia in niente, ed hai ragione. 

Dovresti saperlo che certe cose se accadessero incasinerebbero la tranquillità che mi ritaglio in questa vita, in questo contesto sociale, in queste quattro mura che sono la mia casa. Certe cose forse non accadono perché non devono accadere, infrangerebbero l'unico vero obiettivo della mia vita: stare tranquilla, far sì che tutto proceda normalmente.
Che vita è?, non lo so che vita è. Che vita è se mi costringo a reprimere tutte le cose belle che potrebbero succedere?, non lo so che vita sarebbe.
Non me lo chiedere. Va bene così.
Va bene così fin quando penso alle tue parole. Pensa di meno e vivi di più

lunedì 12 settembre 2016

Accireme

Accireme. Uccidimi. 
Avete presente quei giorni in cui semplicemente state fermi allo stesso posto senza fare mai niente?
Se leggete non capite, se ascoltate musica non la ascoltate veramente, vi parlano e sapete solo dire sì sì, ho capito - anche se non avete idea di cosa si stia parlando? -.
Sono quei giorni in cui pensate ma non pensate a niente, non è noia. La noia è un'altra cosa.
Quei giorni in cui non state bene, non state male, state normale.
Ma che significa, normale?
Non ho voglia di uscire, non ho voglia di stare a casa.
Voglio vedere qualcuno ma non ho voglia di parlà.
Sul letto o sulla sedia, con le mani sotto il mento o con le mani sulla fronte, fa lo stesso.
Sto' semp 'na munnezza. 

Tanto, ormai

in realtà
non so quale sia la realtà di cui parlate.
sarà che ho paura delle stesse mie mani
sarà che ho paura della mia stessa ombra
sarà che ho paura degli occhi di chi pensa
e poi dice
sarà che non voglio più uscire
da queste quattro pareti,
sarà che non voglio più il mio riflesso 
sul lato più scuro della mia camera.
Sarà che qualcosa cerca di sfasciare 
quest'involucro di plastica in cui mi sono infilata
e non ci riesce.

Ecco, l'ombra. Cos'è questa cosa che mi insegue e mi si attacca ai piedi? Cos'è questa cosa che fugge insieme a me, si accascia insieme a me, fa le stesse cose che faccio io come se volesse deridermi? Come se volesse prendermi in giro?
Non voglio vederla. Non voglio vedere né lei, né chi cammina di fronte a me, né chi mi sbatte contro.
Non voglio vedere nessuno. Non voglio alzare la testa, non voglio neppure alzarla.
Niente, non voglio fare niente. Non mi va di dire niente, non mi va di accorgermi di nessuno.

sabato 10 settembre 2016

Muto



Una volta avevo delle belle mani,
non avevano paura di gesticolare.
Adesso le nascondo finchè è possibile modellarle
poiché una volta, non avevo paura
di essere me.

Vivisezionare

Coltello da cucina a squartare i miei fianchi
è come la tua mano a squartarmi le vene.
Mi hai dato una storia da raccontare
e delle reazioni da dimenticare
hai bilanciato pioggia e neve
come se fossi tu il tizio coi capelli bianchi che smuove il mondo,
ti chiamano forse dio?
Non si crede a ciò che non si vede
non credo alla forza delle tue mani.
Non muovi certo i pianeti.
Non muovi certo le pietre con cui hai lapidato
questa mia parte di me.
O forse sì?

venerdì 9 settembre 2016

Io non ho paura


Mento.
E il mio corpo smentisce prima ch'io creda
a ciò che dico.
Smentiscono le mie mani
la frenesia nella mia mente quando credo di star dicendo troppo.
Non fidarti di me
sono un bugiarda.
Fidati di ciò che ti sussurra
la mia espressione quando ho paura.

giovedì 8 settembre 2016

Caso clinico

Di fronte a certe situazioni reagisco in due modi differenti, che però cambiano radicalmente il mio modo di risolvere certi ''problemi''. Io o mi incazzo, urlo cose e me la prendo con tutto il mondo, o resto in silenzio e parlo solo con me stessa ed ovviamente me la prendo con me stessa. 
Quando scelgo il secondo modus operandi mi accorgo che è tutto più semplice: rimango zitta, scrivo solamente e il tempo fa tutto da sé. Quando mi chiudo in me stessa le cose si risolvono più in fretta, perché semplicemente non si risolvono, imparo a farle stare zitte. Alcune volte, però, certe situazioni non posso essere lasciate in bilico, non in questo modo.
Certe cose vanno dette, certe cose fanno fatte e a volte mi dico che quando parlo tutti mi odiano, perché io o dico niente o dico tutto. Mi converrebbe stare zitta? Mi converrebbe sempre e solo reprimere qualsiasi cosa? Fingere che nulla mi tocchi? 
Adesso sto bene. Finalmente. 
Non c’è la paura di restare in silenzio o non c’è la rabbia di quelle volte che sbatto porte e tratto male chiunque.
A volte ho la sensazione di essere una specie di mostro, proprio così. Ma nemmeno un mostro, una belva. Scontato, lo so. 
Ma nemmeno una belva mi sento, mi sento come il Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Due facce della stessa medaglia che non si manifestano però, a periodi. Io nello stesso momento in cui sono Jekyll sono anche Hyde, bevo pozioni senza saperlo, forse.
Sembra sempre che gli altri mi conoscano più di quanto mi conosco io ed è assai triste non sapere quando si è se stessi o quando si finge di essere qualcun altro.
Sono anni che dico che non so chi sono. E ogni volta che credo di saperlo, c’è qualcosa che mi fa dubitare di ciò che credo.
Sono a un punto della mia vita in cui di me conosco solo quello che sanno tutti: mi metto sempre e solo nei casini. Se non mi metto nei guai non sono io. 
Qualsiasi cosa sia un ''casino'' la faccio, la penso, la dico o mi convinco a farla.
Ho dato la colpa all'adolescenza per tanto tempo, eppure quella fase è superata.
A volte mi sento proprio un caso clinico. 

E' durato poco

Rivesto me stessa di veli pietosi
quando perde valore il colore delle lenzuola
in cui abbiamo fatto l'amore.
Un attimo di piacere sfascia mille attimi di solitudine.
Rivesto questo corpo di stracci
antagonisti di una notte

e ritorno nel freezer come i surgelati.
E' stato solo sesso.

lunedì 5 settembre 2016

Fuori piove

Fuori piove. 
Batte la pioggia sulla ringhiera del balcone e vedo piccole goccioline d'acqua sul davanzale, segno che dovrei chiudere la finestra.
In realtà è una finestra che è sempre aperta. Col freddo o col caldo, con la pioggia o la nebbia, non la chiudo mai, perché i luoghi chiusi mi fanno venire l'ansia.
Ho bisogno del vento e dell'aria aperta per stare bene, non sono fatta per stare in quattro mura senza luce e senza aria fresca.
Questa volta la pioggia non mi tranquillizza affatto. Anzi, si può dire che faccia più casino di quello che non abbia già nella mia mente.
In questi giorni mi sentite parlare continuamente di cambiamenti. E che palle, direte voi.
Credo che la parola chiave di questo mese sia proprio questa: cambiamento.
Sono una di quelle persone che pensano, pensano, pensano ma solo ad un certo punto riescono a dire ciò che hanno pensato. Nel senso: ci metto un po' a metabolizzare certe cose e certe situazioni, ma quando lo faccio ne parlo incessantemente.
Probabilmente negli ultimi post non ho insistito su una cosa molto importante.
E cioè, non ho parlato come si dovrebbe in realtà fare della mia situazione col cibo.
Non è una cosa facile parlarne perché è da sempre uno dei miei più grandi complessi. Sono sempre stata cicciottella (non mi piace dire né grassa né curvy, sono due parole che detto esplicitamente odio con tutta me stessa, perché penso che nessuna delle due sappia spiegare com'è che sono fisicamente). Lo sono sempre stata ed il fatto di essere così è sempre stato un modo per gli altri di poter dire che potevo essere più bella.
''Sei una bella ragazza, hai degli occhi bellissimi e un viso stupendo, ma devi dimagrire''.
O peggio: ''Sei una bellissima ragazza, ti vorrebbero tutti se fossi secca secca! Ma non lo dico per un fatto estetico eh, non è questo''.
Insomma, nella mia vita la gente non si è mai fatta i cazzi suoi. In qualunque posto, con qualsiasi persona, qualcuno doveva farmi pesare la mia odiatissima 50.
Ogni qual volta ho cercato di essere carina ed ho ''organizzato'' un certo equilibrio col mio corpo, qualcuno ha dovuto sminchiare tutto dicendo che stavo bene così, ma potevo stare meglio.
Sono carina, ma posso essere bella.
Sono bella, ma posso essere bellissima. Nessuno è mai contento, forse perché non sono capace di togliere agli altri il potere di interferire in situazioni così personali e delicate.
Mento se dico che non mi è mai importato niente.
Mento se dico che non mi interessa come sono, conta quello che sono veramente.
So di essere intelligente, so di avere una forte personalità ed un forte carattere. Ma so anche che se fossi sul serio più magra, sarei anche più al centro dell'attenzione, perché tutto sommato l'unica cosa che mi manca esteticamente è un bel fisico. E probabilmente, il mio brutto rapporto con me stessa sta proprio nel fatto di essere consapevole di poter essere di più. Probabilmente mi odio ancora di più quando mi accorgo che gli altri hanno ragione.
Non mi sento brutta - non lo sono - mi sento grassa, che è un qualcosa di completamente diverso.
Ho dei piani, piani che chi legge riterrà inutili, non è questo a incentivarmi. Ho dei piani, delle previsioni, degli obiettivi. E voglio lavorare veramente su me stessa. Voglio lavorare a questa cosa perché adesso ho i mezzi per farlo: una mamma che mi assilla e mi dice che ce la posso fare, un papà che mi dice che sono bella anche così e che se lo faccio lo devo fare per me stessa, una parte di me che mi dice:''muoviti e mettilo in culo a questi stronzi'' e una dietologa giovane, bella, alla mano, sempre gentile e sempre pronta a darmi carica.
Mi chiedo come sarò tra qualche mese, quanto sarò diversa e cosa mi diranno le stesse persone che per anni mi hanno regalato offese e critiche random su quanto fossi ingrassata.
Mi chiedo cosa potrò mettere, con cosa starò meglio, come mi sentirò ad essere come ho sempre voluto. 

Ho bisogno di sentirmi bene con me stessa, ho bisogno di guardarmi allo specchio e dire a chi è riflesso:''Sei il massimo''.
So di potercela fare e so anche di poter mollare.
E' questa la mia paura più grande: mollare tutto quando devo rimboccare le maniche. 

L'ho sempre fatto. Ed ho paura di farlo anche adesso. L'ho sempre fatto e scrivo a me stessa di non farlo ancora, di essere più forte di questa brutta malattia per il cibo. Prego mia madre di picchiarmi se mai ricominciassi a farmi male, dico a me stessa che non le vorrò mai più bene se non mettiamo un punto a questa storia.

Tempesta

Il mare fa paura.
Può portarti a riva e può portarti al largo.
Può portati a galla e può tirarti giù.
Se ne frega, fa di testa sua.
Se magari piove e tira vento, batte sugli scogli e sui terrazzi che si affacciano solo per poter godere della sua vista. Bagna i pavimenti e sei costretto a indietreggiare, stacchi le mani dalla ringhiera per paura di bagnarti i piedi.
E' audace, intrepido. O più semplicemente, non sa quello che fa.
E' così bello quando d'estate è baciato dal sole che va a riposarsi, è così triste quando in questi giorni di settembre il sole non c'è e si muove con noia, con monotonia. Come se mancasse qualcosa.
Si susseguono quattro stagioni ed il mare è capace di adeguarsi ad ognuna di esse. Sembra che si adegui anche al nostro modo d'essere, come se fosse una persona. Come se fosse un papà che guarda i tuoi occhi e capisce cosa succede.
Quando piove e resta immobile, se ne frega della pioggia. Continua a ballare per conto suo, non resteresti a galla se ballassi con lui.
Morirebbe per essere se stesso, morirebbe per provare ciò che sa provare.

Rabbrividisco al sol pensiero

Per me la vita è stronza anche solo perché fa sì che tu nasca e poi muoia senza chi ti ha fatto nascere.

sabato 3 settembre 2016

Dedica alla poesia

Amore o passione
talento o stupida inclinazione
ho paura di perderti.
Sulla pelle vibra il timore
di non sentirti più parlare
di non sentire la tua voce passeggiare
nella mia mente.
Non abbandonare la mia penna
non smettere di calpestare e mettere alla prova
il mio bisogno di scrivere.

Hello september (con due giorni di ritardo)



Settembre è il mese delle promesse.
Il mese degli obiettivi, delle aspettative, dei buoni propositi.
Una persona che seguo regolarmente qui su blogger ha scritto che settembre è un nuovo inizio, come se fosse il primo gennaio: un altro anno, un altro viaggio, un'altra storia. Ed io concordo pienamente, sia perché settembre scandisce l'inizio di un altro anno scolastico e sia perché settembre è effettivamente quel punto a metà tra l'alto e il basso che decidiamo o di portare più in altro o di portare più in basso.
Avete presente la ''tabella'' dei propositi che solitamente si fa a inizio del nuovo anno? Benissimo, io la faccio adesso. E per mia sfortuna, non ho bisogno di segnarmi questi obiettivi prefissati perché sono gli stessi di tutti gli anni. Gli stessi che per un momento porto in alto e che poi, d'un tratto, faccio crollare non dando peso ai sacrifici che ho fatto per lo sforzo di portarli a termine.
E' topico, è quasi una leggenda metropolitana. Nessuno ci crede e nessuno ci riesce, ma ho fatto in modo di riuscirci: lunedì 5 settembre incomincio la dieta. Ho richiamato la mia nutrizionista perché sto ingrassando troppo, anche se a sua detta ho lo stesso peso dell'anno scorso, quindi ho solo ripreso i chili persi. Ricominciare la dieta per me è una cosa importante, perché questo continuo dimagrire ed ingrassare mi fa male. Sia dal punto di visto fisico, sia dal punto di vista psicologico.
O mi sento Naomi Campbell o mi sento Ugly Betty. Vorrei quantomeno cercare una via di mezzo.
Anche il mio secondo proposito è topico, lo stesso da quando ho tredici anni: non mangiare più le unghie. Oltre che poco igienico, è anche abbastanza triste osservare venticinque smalti di kiko lasciati sulla mensola in bagno a prendere polvere. Ed è anche abbastanza triste sprecarli sulle unghie finte.
Il mio terzo e più importante proposito è quasi la filastrocca di ogni studente. Devo incominciare a studiare dal primo giorno, dal primo mese, appena assegnano la teoria. L'hanno scorso ho avuto l'estrema e sudata capacità (o botta di culo) di prendere 7 a un'interrogazione di filosofia per la quale ho studiato tutto Aristotele in un solo giorno. Quest'anno non voglio sentirmi dire:''Tu sei brava, studi, sai relazionare ma non ti prendo in fiducia perché non studi costantemente''. Mi penalizza. Ed è un peccato perché punto in alto con lo studio, mi piace studiare.
Il mio quarto proposito, un pochettino impossibile da realizzarsi, è continuare a leggere. In passato, durante l'anno scolastico, ho totalmente abbandonato la lettura. Leggevo poco e leggevo male ed era un peccato perché non avevo più nulla in cui rintanarmi. Ho sullo scaffale Madame Bovary, Gente di Dublino, Le affinità elettive e Il vecchio e il mare. Spero di iniziare e completare almeno una di queste letture, anche se credo di aver scelto titoli troppo pesanti per riuscirci.
Settembre è il mese delle promesse ed io ho promesso a me stessa di riuscire almeno nel più difficile di questi obiettivi. Spero sul serio di averne la forza e soprattutto spero di avere la costanza di non mollare. Non voglio ricominciare tutto da capo.
Nell'ultimo post (http://cielodicementopiovonocalcinacci.blogspot.it/2016/08/la-verita-non-abita-piu-qua.html) vi ho parlato di come è cambiata la mia Casa, di come è cambiata l'aria che respiro, di come è cambiato il mio modo di vedere le cose. Sento l'esigenza di andare oltre, di cambiare radicalmente, di cambiare seriamente. Sento l'esigenza di cambiare me stessa.
Eppure, questo è un discorso che faccio spesso. Ed ho paura che nemmeno questa sia la volta buona.
Forse dovrei essere più determinata, forse dovrei incentivare ancor di più questa mia voglia di cambiare, devo mettermi in condizione di cambiare per forza. Non voglio che siano solo parole scritte su un post di un blog qualunque, non voglio che siano cose pensate e basta.
Voglio essere diversa e questa mia diversità deve essere reale. Deve essere notata. Sia da chi è attorno a me e sia da quella parte di me che non sa chi sono e come sono.

giovedì 1 settembre 2016

Immotivata ed assurda ansia

Ho sempre l'impressione di lasciare il mio blog ''sporco''.
E cioè, sono così perfezionista che ho paura di deludere le aspettative mie e di quelli che provano a leggere qui.
E' ansia. Ansia anche quando scrivo. Ansia da prestazione.
Ma si può?!

mercoledì 31 agosto 2016

La Verità (Non Abita Più Qua)


''La gente non vuole sapere da dove vieni o dove vai. 
E' pronta a dirti che sei ingrassato, più che a chiederti come stai.''


Lo scrive uno dei miei artisti preferiti in una delle canzoni più belle di sempre.
E' sempre stata una bella frase, certo, eppure adesso non è solo bella. Le ho dato un senso, l'ho associata a questo mio 2016, a questo periodo della mia vita.
Mi capita di guardarmi allo specchio e dire a me stessa che sono cambiata. Eppure allo stesso tempo ho l'assillante consapevolezza di non essere cambiata per niente: i miei difetti sono sempre lì, sempre della stessa misura. E' tutto uguale come sempre. Tutto normale, tutto nei canoni, tutto nella regola. Tutto di una persistente e pesantissima noia.
A volte dico a me stessa che però qualcosa è cambiato, in questo periodo della mia vita.
E' cambiato il mio modo di parlare di mio padre, è cambiato il mio rapporto con lui ma soprattutto ho capito cose che la bambina la quale sono sempre stata non poteva capire.
Penso che il mondo attorno a me sia mutato, l'unica cosa che non riesco a vedere in modo diverso è me stessa.
Oramai ne ho la consapevolezza e cito questo stesso artista per rendere meglio il concetto:
''E sto pregando dio perché per me la sua presenza è spirituale, il resto è teologia e speculazione clericale''. I concetti cristiani non mi sono mai piaciuti, i dogmi della chiesa che si imparano al catechismo mi fanno credere che si tratti solo di un castello in aria, di un estremo sogno nel cassetto per dormire più tranquilli quando si fa buio. Mi piace pensare che nulla sia dato a caso, mi piace pensare che ogni cosa era stata premeditata e che ogni esperienza altro non è che il tassello di un puzzle infinito che si può capire solo quando riusciamo a mettere i pezzi giusti insieme. E' un  bisogno spirituale, per l'appunto e sono soddisfatta di aver messo un punto - magari è un punto e virgola - a questo mio blocco interiore, a questo mio bisogno di far chiarezza in ciò che credo.
E' cambiata anche la mia considerazione dei ragazzi. O meglio, è nata la consapevolezza ma per il momento è tutta teoria. Non c'è stato un solo ragazzo che non mi abbia voluto che per il sesso. E' scontato dirlo, eppure nessuno ha mai tenuto a me. In alcuni casi, è stata solo ''un'esperienza'', in quel caso (e sottolineo quel) semplicemente non ero all'altezza. Semplicemente, non mi voleva bene quanto gliene volevo io.
Questo discorso mi fa pensare a un canto di Catullo, il famosissimo carme nonsochenumero in cui è contrapposto il concetto di amare e di bene velle e cioè amare e voler bene. Quel canto mi piacque tantissimo, pensavo continuamente che il volersi bene (e quindi il nascere di un sentimento puro, genuino, limpido e incontaminato) non fosse all'altezza dell'amore. Amarsi significa essere gelosi, ossessivi, possessivi, imparanoiati, stupidi. Con l'amore, il bene velle perde il suo valore. O meglio: più ci si ama e meno il volersi bene fa la sua parte. Perché con l'amore e il volersi bene non c'è mai un giusto peso, non sono mai bilanciati.
Mi sono persa in questo discorso sull'amore e il volersi bene, non era qui che volevo arrivare.
Ma questo potrebbe essere uno spunto per far capire ciò che intendo dire.
In me, così come cresce l'amore, cresce a pari passo anche il volersi bene. Ed è qui che nasce il conflitto: quando tutto finisce, quando tutto non va secondo i piani, quando tutto si spegne, a me resta il bene velle. E il bene velle sa squartarti l'anima, son sicura che lo sapete.
Da qui, riprendo dicendo che ho capito che non devo assolutamente scherzare col fuoco. L'ho capito ma è un meccanismo che non riesco a mettere in pratica, poi vi aggiornerò riguardo questa questione.
E' cambiato il mio papà. C'è ancora una certa distanza che pesa tra noi due, ma c'è molto più dialogo, molta conversazione, molte confessioni. E il che mi piace.
Mio padre non mi conosce, non ha mai fatto il padre, è stato anni lontano da me e non sa come sono cresciuta, che mi piace fare, cosa odio fare. Si sta costruendo una specie di rapporto che prima non esisteva e ne sono felice. Non ne ho mai parlato qui sul blog, ma mesi e mesi fa, c'è stata un'esperienza che mi ha fatto temere di perdere il mio papà. Si pensava avesse un tumore e la consapevolezza di perdere una persona che mi stava conoscendo dopo così tanto tempo mi ha fatto piangere intere notti, per intere settimane.
A volte la vita ci manda un segnale - poteva mandarmene uno meno orribile - per farci rendere conto che alcune persone, nonostante gli sbagli e gli errori, sanno volerci bene. E noi ne vogliamo a loro.
Mio padre meriterebbe schiaffi per tutte le volte in cui mi ha fatta piangere, ma so che mi vuole bene. Ed io ne voglio a lui, tantissimo.
Un'altra cosa capita ed accettata di quest'anno riguarda mio fratello.
Finalmente, i miei genitori sanno che è gay. E questo pesantissimo fardello finalmente ha alleggerito la sua vita, ma non la nostra. Mi sento molto protettiva nei suoi confronti, non voglio che la gente parli e lo faccia stare male, non voglio che si senta male con se stesso - anche se, aperta e chiusa parentesi, ne dubito, è un leone di segno e di fatto -. I miei genitori ci hanno messo un po' a capire, a realizzare, ma ci stanno facendo l'abitudine. Perché alla fine di abitudine si tratta: abituarsi all'idea che al proprio figlio piaccia ciò che piace alla propria figlia, tutto qua!
Ho, infine, capito un'altra cosa. Il tempo è denaro, il denaro è importante ed io sono povera, che detto in modo diverso significa ''sto sprecando tempo appresso a persone e cose che tra dieci anni non ricorderò neppure''. Sette mesi fa ho festeggiato il mio ultimo compleanno da minorenne, presto prenderò la patente, finirò il liceo, prenderò il treno tutti i giorni e non solo in estate per andare in giro a cazzeggiare. Incomincerò l'università ed ho le idee chiare, chiarissime, oserei dire. Ho intenzione di studiare alla facoltà di lettere. E sì, sarò precaria a vita, non avrò mai un lavoro, studierò per stare al mcdonald's, sono stupida e devo gettarmi in qualcosa che mi faccia lavorare subito.
Il tempo è denaro, il denaro è importante ed io sono povera. Ovvero: non spreco tempo a sentirli parlare. Questa è la mia passione, è la mia inclinazione, è ciò che voglio fare.
Non lavorerò al mcdonald's. Se proprio devo, lavorerò in libreria. O in qualcosa del genere.
Per ultimo, e finalmente ritornando alla citazione sopra, alla gente non fotte un cazzo di quello che ho da dire. Non fotte un cazzo di quello che sono o di cosa penso.
Tutto ciò che la gente vuole è sapere e strumentalizzare ciò che sanno di te per spettegolare meglio. Nessuno ci tiene a sapere se hai intenzione di ucciderti o se lo hai già fatto, nessuno vuole sapere come stai, nessuno vuole esserti vicino se non per portare a termine tutto un piano di secondi fini.
Ed io, quindi? Che faccio? Li prendo in giro. Dico ciò che vogliono sentirsi dire e continuo per la mia strada, che so quale è.
Non mi faccio convincere, non mi faccio fare fessa anche in queste cose. Continuo per conto mio.

Ricapitolando, allora, vi pongo una domanda: se il mondo attorno a me è cambiato così tanto e se tutte queste cose finalmente le ho capite, è probabile che sia cambiata anche io? E' probabile che lo specchio non sia capace di farmi vedere un cambiamento che in realtà c'è stato?
Non ne ho idea.