lunedì 26 febbraio 2018

Secretum

Attivata la sveglia alle 7:00.
Spenta la flebile luce sul comodino.
Si rigirava nel letto, da un lato all'altro. Poi, mani lungo i fianchi, braccia sotto il cuscino, a pancia sotto, a pancia all'aria, ma non riusciva a prender sonno.
Il pensiero di doverlo uccidere gli rosicava il buonsenso.
- Lo avveleno? No, lo uccido con le mani mie. No, sarà il tempo a farlo morire. E se il tempo lo facesse morire troppo tardi? E se lo facessi morire io, io che fine farei? No, devo ucciderlo. Ma non posso ucciderlo. Ma io, voglio ucciderlo.
Pensava, con gli occhi aperti nel buio, con le coperte tirate fino al mento.
Mosse i piedi dall'agitazione, rabbrividì al contatto dei piedi nudi col pavimento freddo.
Camminò silenziosamente lungo il corridoio, guardandosi attorno. Lo sapeva che qualcuno gli avrebbe piantato un coltello in gola o sulla schiena. Ma non aveva paura, si sarebbe difeso non per istinto di autoconservazione, ma per difendere la volontà di uccidere per primo, di essere il più forte, di vendicare le cicatrici dei coltelli già piantati in passato.
- E se il giorno del Giudizio Universale non esistesse? Se fosse una mera verità, uno dei tanti dogmi a cui o si crede o non si è cristiani, io sarei uguale a lui? Andremmo entrambi in paradiso? Io sono uguale a lui. La stessa ostinazione distruttrice ma alla rovescia in me e alla rovescia in lui. Anche per questo siamo uguali. Dio, quanto vorrei strozzarlo. Perdonami sol al pensiero, ma quanto vorrei strozzarlo. Lo vorrei veder morire nelle mie mani, dimenarsi mentre gli manca l'aria, ucciderlo per asfissia. Sì, devi sentirti mancar l'aria, è l'unico modo per farti sentire sottopelle le volte in cui hai oppresso me, hai tolto l'aria a me, fino a farmi morire. Fino a farmi impazzire.
Vorticavano pensieri cupi nella sua mente e sentiva i muscoli delle gambe tirare, tanto da farlo zoppicare piano piano.
- E' questa la tua punizione, o Dio? E' questa la punizione che infliggi ai tuoi agnelli quando si allontanano dal gregge? E dimmi, quali sono state le sue punizioni da quand'è nato fino a che morirà, fino a che il sangue smetterà di circolare e si coagulerà nelle vene deboli e invecchiate dalla meschinità, la pazzia, la demenza, la violenza? Odi me, punisci me, castighi me. Ebbene, dammi la morte. Non c'è morte più salvifica di questa che mi toglierebbe l'animo, il pensiero, l'intelletto di uccidere, uccidermi, scagliare sassi contro il cielo.
Aprì la porta del bagno, girò la chiave, si sedette ai piedi della doccia aspettando una risposta.
Passarono i minuti, accese una sigaretta e si sciacquò il viso che aveva lo stesso colorito dei suoi pensieri.
- Tu, che tuo figlio lo hai generato e non creato dalla stessa sostanza del padre, hai gettato il mio seme nel ventre di mia madre che mi ha partorito dopo nove mesi che aspettavo di tornare a casa. Io non volevo nascere, e tu mi hai fatto nascere. Forse sono nato perché ho una missione da compiere. Forse mi hai fatto nascere perché sono io l'eroe delle vite che devo salvare. E se mai mi avessi dato la missione di ucciderlo, mi punirai per questo? E se tu mi perdonerai, qualcun altro mi punirà?
Puniranno me, ma non puniranno lui. E lui, dove sconterà la sua pena? Se mai la scontasse, si intende. Tu, che sei onnipotente e onnipresente, non sei all'oscuro dei suoi mali? Tu che puoi tutto, tu che tessi il destino della vita degli uomini che costringi a far vivere qui sopra, li senti i miei pensieri? Riesci a sentire anche i suoi? E dimmi, cos'è che pensa? La coscienza gli pesa e si dà alla pazzia quando il peso è troppo pesante da sostenere e si sente scoppiare? Oppure non sente niente, freddo come i suoi occhi, cupo come il suo sguardo, asettico, apatico, rinchiuso nella sua biforcuta ed inutile ed indesiderata vita?
Lo stato di natura ci vuole tutti prede e predatori, l'unica persona di cui io non sia preda è lui. Sono io il suo predatore. Chissà che faccia farà quando vedrà la mia faccia, artefice del suo destino. Chissà se piangerà - ma lui non piange mai -, chissà se si difenderà, chissà se la scorderà mai la mia faccia mentre lo uccido o se la vedrà ogni volta che ricorderà la sua morte. Sì, mi auguro di sì. Così sentirà ciò che si sente a rivedere le stesse cose davanti agli occhi per anni e anni, giorni e giorni, così sentirà ciò che si sente a risentire le stesse sensazioni ogni volta che si è soli con se stessi.
Scacciò via quei pensieri e con la testa calata nell'acqua fredda del lavandino ripulì la sua mente per qualche minuto. Il freddo penetrava nelle sue orecchie, su per il naso, agghiacciandogli le tempie. Beatitudine.
Si asciugò il viso, tornò nel suo letto, piegò le gambe in grembo e tentò di chiudere gli occhi.
- Sei misericordioso, dicono. E allora abbi misericordia di me quando sarò al tuo cospetto con un corpo inerme caricato sulle spalle e il sapore del suo sangue sotto il naso.
Hai fatto lo stesso con le Dieci Piaghe in Egitto: punire i cattivi.




domenica 4 febbraio 2018

Smezziamoci una sigaretta

(Original Sin)


Gli occhi socchiusi dal sonno e il mal di testa 
il vino di ieri sera gocciola ancora da neurone a neurone 
e ho la testa invasa da gente come in festa; 
acquietandomi su divani e poltrone  
non riesco a ricordare il momento in cui abbiamo detto no. 
Non superiamo il limite, fermiamoci adesso 
partiamo per Nettuno 
da galassia in galassia; io e te una cosa sola, come quando facciamo sesso.
Lasciamo qui ciò che abbiamo e partiamo con ciò di cui abbiamo bisogno  

amami, stringimi, salvami, seguimi, non svegliarmi da questo sogno.

venerdì 2 febbraio 2018

Letargo

Spesso mi sono chiesta:''Io chi sono?''. Oggi mi chiedo:''Io, come mi comporto?''.
Mi sento fragile. E la mia fragilità è legata in un connubio colossale; mi sento fragile e sono adirata, spinosa, lacerante.
All'alba dei miei diciannove anni, lo dico penna su foglio: è questa la prima delle due cose che odio in modo incalcolabile di me.
In me esiste un meccanismo di difesa che mi atterra al cospetto degli altri. Odio essere in un modo e sentirmi in un altro. Tra l'essere e il fare c'è di mezzo un modus operandi che sta rosicando me, tutte le parti di me, quelle che fingo di non sentire, quelle che acquieto ogni giorno fino a crollare.
Sì, gli esseri umani spesso crollano. E a volte, crollo anche io. Ma ogni volta che crollo mi sembra di aver già perso dal principio. Più crollo e più ciò che mostro agli altri mi allontana dalle parole, dalle soluzioni, dalle frasi di circostanza che non farebbero stare meglio me, ma farebbero stare meglio gli altri attorno a me, che ancora si preoccupano di me.
Mi assale la paura. La paura di non essere chi penso di essere nei miei castelli in aria, di non essere per gli altri ciò che sono per me, di perdere ciò che ho costruito attorno a me.
E mentre le mie labbra si socchiudono sembro adirata, incazzata, stronza, ma non è ciò che sento dentro di me. Dentro me tutto cade, non ho certezze, non ho auguri da pormi, non ho una strategia per fare ordine in me.
E' questa la cosa che più odio di me: mostrare gli aculei anche se ho freddo. E' questa l'unica cosa che so fare.

In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedevo la pace nel mondo, chiedevo la mia.
(Cesare Pavese)