venerdì 25 novembre 2016

1500

Stiamo studiando un autore con la cui biografia sono molto a mio agio.
Il suo vissuto, le sue potenzialità e purtroppo anche la sua infermità mentale, si rispecchiano in me.
E' un autore dalla personalità fragile, quasi di vetro sottilissimo. A primo impatto, potrebbe anche risultare senza personalità: rende se stesso e la propria arte conformi alle aspettative dell'epoca in cui vive, propone gli stessi modelli che proponevano tutti gli altri, è propenso ad accettare le idee che accettano tutti gli altri - solo per timore della critica che potrebbe essergli fatta per la sua diversità di pensiero -. Si sente attaccato, puntato, perseguitato dalle critiche.
Pretende il massimo da sé stesso e per ogni suo tentativo vorrebbe essere gratificato, vorrebbe essere celebrato. Desiderava delle attenzioni che, poiché nessuno gliene concedeva, lo portarono ad essere una macchina scrivente di un'epoca in cui tutto deve essere conforme, tutto deve essere necessariamente approvato per esser reputato bello. Desiderava ottenere il massimo e si autoflagellava sminuendo la sua arte, dando per scontato il suo talento e sprecandolo a scrivere non ciò che l'ingegno dettava ma ciò che l'epoca richiedeva.
Pensate, riscrisse la sua opera più famosa quattro volte, perché gli ''editori'' reputavano inadeguati alcuni temi sostanziali.
Si sentiva addosso, perennemente, degli occhi che non esistevano. E si faceva paranoie su storie mai accadute.
Aveva un modo strano di vedere le cose e studiare questa stranezza dal punto di vista di uno studente mi ha sorpreso non poco. Credeva che dei folletti gli rubassero i fogli su cui scriveva e che i suoi insuccessi non fossero altro che una maledizione di un qualunque mago a cui stava evidentemente sul cazzo.
E' una personalità stramba, curiosa, dannata. Il suo dissidio interiore, il suo dissidio tra l'essere se stesso e l'essere ciò che è giusto, lo ha portato all'eterna dannazione e all'eterna sofferenza.
Mi ci ritrovo tanto e mi ci ritrovo poco. Resto ad occhi sbarrati e mi sembra un autore reale, vivo, adatto a descrivere anche il vissuto di chi non ha vissuto le sue esperienze.
Vi invito a riscoprire la personalità di Torquato Tasso, potrebbe sorprendervi.

Richieste del mercato

Ho spesso pensato che fosse quel numero
a stordire gli occhi di chi non ci conosceva.
Ho pensato che fosse quel numero rovesciato accanto al 3
a far spalancare bocche, corrugare fronti, istigare menti.
Ho pensato che quel numero fosse lo spartiacque
di me e di te, insieme. E adesso
penso che quel numero assieme a tutti i suoi predecessori
siano suppliche, bandierine bianche levate dal basso fronte.

mercoledì 23 novembre 2016

Io, la luna, l'apogeo. Non sono in pace neanche quando creo



Attorno a me ciondolano dai soffitti, dai balconi, dai rami degli alberi per metà spogli, idee e spunti e parole che mi accendono l'anima e rendono i miei macigni sullo stomaco ancor più pesanti.
Pendolano persone alla fermata degli autobus, sono personaggi visionari quelli che - appoggiati ai muri della palestra -  ripetono storia mentre io cerco risposte nelle domande che mi pongono i libri di letteratura nello zaino, che stamattina non è poi così pesante.
Attorno a me, brulicano parole. Parole che non sono mie.
Potrebbero esserlo, ma la mia mano le fa essere solo e semplicemente copie. Copie delle copie delle copie.
Sento le mie parole vuote, come le O che colore nelle ore estenuanti di greco e sì, mi sento disinteressata.
Nessun colpo di genio, nessun improvviso tuono di ispirazione, nulla che desti la mia attenzione.
E' come quando da piccoli pensavamo di poter prendere le formiche e farle camminare sulle nostre dita. Le formiche sono così piccole ed era così difficile riuscire a prenderle. Ecco, è così con le idee. Tanto piccole quanto insignificanti, non riusciamo a farle correre sulla nostra pelle, non riusciamo a coglierle nel momento giusto. E' perché sono piccole? E' perché sono inutili? No, siamo noi a non esserne in grado.
Più si vorrebbe scrivere, meno si scrive. Più ci si impone di trovare via d'uscita in quello che è il blocco dello ''scrittore'' e meno si riesce.

E mentre sbuffo e getto l'ennesima carta nel cestino, l'ennesimo file sul computer, l'ennesima sensazione che mi attorciglia la mente e fa soqquadro nel mio stomaco, mi fermo, prendo fiato, mi rilasso.
Ho finalmente scritto, pensando di non avere nulla da dire e pensando di non sapere come dirlo.

lunedì 21 novembre 2016

Riflessione embrionale


Non vorrei rifiutarmi di amare, sì
solo per paura di soffrirci. 
Sarebbe dire 
''rifiuto di vivere qui, 
per paura di morirci.''


Ho osato pensare che la nostra vita sia un aeroporto e che chi va e chi viene, chi viene spesso e chi va sempre, siano solo passeggeri.
Sì, è comodo pensarla così. E' comodo avere la scusa a portata di mano.
Io, nella vita degli altri, mi rifiuto di essere solo una passeggera. Ho viaggiato, ho vissuto, ho creduto, ho sperato ed ho pianto, mi sono liberata, mi sono incatenata e no, non ritengo di essere una passeggera.
Al diavolo chi parla di esperienze, chi minimizza i sentimenti propri o degli altri e chi sintetizza il tutto con poche frasi di circostanza.
Il viaggio sarà anche stato poco piacevole, il check-out sarà anche stato necessario perché no, non si può e non se ne può più, eppure rimane un viaggio. Un viaggio che matura con noi e che maturerà ancora, un percorso che permette di conoscere e soprattutto, di conoscere se stessi.
Ho visto, ho compreso, mi son chiesta perché.
Le persone nella mia vita non sono passeggere perché ad ogni segno c'è un ricordo, ad ogni ricordo c'è una persona e sì, noi esseri umani siamo a nostro modo importanti, pur se piccoli, minuscoli, simili a microbi rispetto al gigantesco ego della nostra psiche umana.
Non siamo passeggeri di niente. Siamo persone che crescono, che evolvono o progrediscono nei sentimenti, persone che sono persone, che riflettono e si pentono, che riflettono e si convincono.
No, non sapevo cosa volevo ma sì, adesso so cosa voglio. Sì, sapevo benissimo quali sono i miei punti deboli ma no, non sapevo come mascherarli. Ho imparato a nascondere la mia sensibilità? Sì, ho sempre saputo come. Ho imparato a dimostrarmi fragile con chi merita di sapermi fragile? No, ci devo ancora lavorare. Devo imparare ad aprirmi in modo diverso con le persone, devo imparare ad essere trasparente alcune volte. Dovrei imparare anche a non sbagliare volo, dovrei imparare anche a sedermi al posto giusto, dovrei imparare come veramente si può condurre un volo tranquillo, senza troppe deviazioni e dovrei imparare anche a smetterla di pensare stronzate e ammettere di essere passeggera nella vita di chi non mi ha voluto, perché è sempre così: si è sempre passeggeri di qualcuno e si è sempre aeroporto di qualcun altro. Il resto è superfluo, il resto non vale niente, i sentimenti non valgono niente, vale solo il costo del biglietto e la durata del viaggio.

venerdì 18 novembre 2016

Dov'è questo potere dell'amore se poi è l'amore per il potere che consuma le persone?

Crescere è regredire.
Crescere è la tomba del sentimentalismo, della spontaneità, della creatività e soprattutto della concezione di famiglia.
I grandi pensano solo ai soldi, al lavoro, alla macchina pulita. Sono incapaci di dimostrare affetto e tutto è proiettato al difendere i propri interessi.
Crescere li porta ad essere calcolatori, dissimulatori e l'unica cosa a cui vogliono bene è la realizzazione. L'unica cosa a soddisfare quest'obiettivo di vita che punta in alto è il successo nel mondo del lavoro. E' l'unica cosa che li fa sembrare vivi, l'unica cosa che li rende umani.
I loro rapporti sociali sono finti: ognuno pensa a sé e se vogliamo essere generosi diciamo che ognuno pensa a sé e la propria famiglia.
Quelli che sono i genitori, i fratelli e le sorelle diventano coloro che non danno o non dividono il patrimonio o le proprietà immobiliari e tutto ciò che un tempo era vita diventa uno stremante desiderio di volere di più, di meritare di più e si è convinti sempre più che è questo quello che conta nella vita.
Nella vita contano i soldi, il lavoro e il sopravvivere da sé.

mercoledì 16 novembre 2016

Amori miei

Sono molto lunghi. Sono molto belli.
Ma anche crespi, secchi, bruciati, rovinati dalle mie continue tinte e dai miei continui cambi di prodotto.
Posso dire di voler bene ai miei capelli. Il che è stupido, lo so.
I capelli lunghi mi accompagnano dalla seconda media e dopo vari tagli e sforbiciate alle doppie punte, arrivano sotto il seno (all'altezza del mio ombelico e a circa cinque centimetri dal sedere).
In questi giorni lavare i capelli è diventato uno strazio: ci metto in media due ore e venti minuti a snodare quella matassa senza senso di capelli. Forse è giunto il momento di tagliarli.
Passo ore ed ore allo specchio a piegarli e a fissarli con delle mollettine, in modo da poter vedere come starei senza i miei amatissimi capelli. E più penso ai miei capelli sul pavimento del salone di una parrucchiera, più li annuso e li accarezzo come se fossero i capelli magici di Rapunzel.
Ci sono così affezionata.
Adoro quando tira vento e mi frustano il viso e adoro quando piove e si arricciano talmente tanto da farmeli adorare ancor di più.
Tagliarli sarebbe una cosa abominevole. Una cosa che vorrei non dover fare.
Una cosa che non farò per nulla al mondo.
Carissima parrucchiera di fiducia, accontentati di al massimo tre dita. Accontentati di tre dita dei capelli più bruciati che tu abbia mai visto.
I capelli corti non li porterò mai.

sabato 12 novembre 2016

Metà del tempo a farsela e metà a farsela scendere, il tempo non lo puoi comprare, lo puoi solo vendere



C'è una crepa nei miei occhi e con le parole hai saputo spezzarli. In due metà, perfettamente uguali. Cocci di un verde spento a cui non è dato né di piangere e né di mettere a fuoco.
A volte pensiamo di tagliarcene fuori, pensiamo che sia meglio far delle crepe sui legami e creare distanze, pensiamo di poter sdoppiare la realtà. Pensiamo che fare un passo indietro ci aiuti a stare più con noi stessi, ci aiuti ad essere più riflessivi ma più impetuosi nel nostro piccolo mondo fatto di idee, nel nostro piccolo mondo illusorio in cui tutto si muove e tutto prende vita ad opera nostra, con uno schiocco di dita.
Pensiamo di tirarci indietro e non è così, perché in certe cose veniamo buttati fuori, con un leggero calcio nel sedere, per lo stesso motivo che ci porta a desiderare di esserne privi, di poter farne a meno, di esserne scaraventati fuori, come dall'ultimo strato di magma terrestre fino all'ultimo 
strato di nuvole bianche.


giovedì 10 novembre 2016

Damnatio memoriae

Cammini nelle catacombe del mio modo d'essere.
Macabro, lugubre. Io so di morte.
Deturpato, putrefatto. Distruggi ogni mia nicchia.
Disonorami, repelli e depenna il mio nome.
Che si ricorra alla damnatio memoriae.
Il disfacimento è in atto.
E, come Nerone con la sua Roma, guardami bruciare
e gioisci.

mercoledì 9 novembre 2016

Sometimes it feels like the world's on my shoulders

L'insoddisfazione è una bestia che t'azzanna e ti possiede. Ti possiede senza il tuo consenso, senza alcuna provocazione. Non ci si accorge nemmeno del suo inganno.
È psicosi, la definirei un tic nevrotico che decapita le mie speranze e le mie aspettative e mi rende incoerente, pragmatica e dinamica nei comportamenti. Sostanzialmente puntigliosa e ipocrita nel mio modo d'essere e perennemente scocciata per parlare, spiegare, autocommiserarmi. 
Insoddisfazione. Che brutta parola. Che tormento. Che rabbia. E che cazzo.

lunedì 7 novembre 2016

La persona che mi ha fatto immensamente soffrire

Comprendo.
Adesso capisco. Adesso so, perché l'ho sentito sulla mia pelle. Adesso so come ci si sente, adesso so cosa si prova, adesso so quanto è difficile.
Capisco che significa dover dire no ad una persona con la quale non si ha coraggio.
Adesso capisco quale sia stata la ragione che ha portato il mio passato a lasciarmi andare: a certe persone, a certe situazioni, a certi sentimenti semplicemente non siamo cari. Non sono veramente affezionati a noi,non darebbero la vita, non c'è alcun affetto.
Capisco anche con quale difficoltà mi abbia lasciata andare chi oramai fa parte del mio passato e rivedo nelle cose che faccio oggi, le cose che facevano a me mesi e mesi e mesi fa.
No, non mi fa più male. Mi fa male pensare che la persona che mi ha fatto immensamente soffrire sono io, adesso, per lui. Mi fa male pensare di essere ciò che ho odiato quando dall'altro lato della medaglia c'ero io.
Mi dispiace, è finita, ho tremila scuse, tremila balle da dire per convincerti che c'è una motivazione per cui è finita e invece no. Invece non è proprio così.
E' finita perché non mi sono mai davvero affezionata, è finita perché quando sto male tendo ad allontanarmi e mi sento sola, sola, troppo sola. E' finita perché per me non è mai iniziato niente. Perché nel mio mondo esisto solo io, io coi miei malesseri, io coi miei pensieri, io coi miei sfoghi. Nel mio mondo non c'è posto per nessun altro se non per me.E' finita perché ti ho tagliato categoricamente fuori dalla mia intimità fin dal primo giorno, fin dal primo istante.
E' questo quello che devi sapere, il resto di ciò che dico e il resto di ciò che potrei scrivere è solo una scusa.



venerdì 4 novembre 2016

La via del vuoto


A un passo da te.
A un passo da un buco di emozioni che risucchierebbe la mia paura di volermi bene, a un passo dall'abbandonarmi ed incarnare una versione distorta, confusa del mio silenzio.
A un passo dal serrare la mia paura nel bianco pallido del mio viso, a un passo dal poggiare i piedi al suolo e smetterla di farli tremare.
A un passo dall'oasi, a un passo dalla tana del lupo - la mia tana -.



Ogni viaggio inizia sempre con un passo. 
Percorri la via. 
Conta solo su te stesso. 
Cammina sul sentiero d'acciaio.
Perché il destino ora esige il suo tributo. 
Sei sulla via del vuoto.

mercoledì 2 novembre 2016

Quando la pioggia non viene da sopra cade sotto il tuo stesso ombrello

Sembra sempre che io sappia cosa fare.
E il trucco è proprio questo: dare l'impressione di sapere cosa fare. Di saper prendere una scelta indifferentemente, che poi qualunque cosa sia fa lo stesso.
E' un'immagine di me che ha condizionato me medesima sotto ogni aspetto.
Parto prevenuta: ciò che inizio so che non lo porterò a termine, ciò che mi fa male all'inizio so che mi farà male uguale alla fine del percorso e soprattutto, so di essere indifferente all'inizio così come alla fine.
Sembra facile così, sembra naturale. Eppure non è né facile e né naturale, probabilmente non lo è per nessuno.
Vorrei poter dire di aver faticato, di aver fatto forza sulle mie gambe. Mi è indifferente anche insinuare questo. Mi è indifferente qualsiasi cosa.
Dare spiegazioni, cercare spiegazioni, ascoltare spiegazioni, cercare in me stessa, offendermi o indignarmi, volermi bene o volermi morta.
Indifferente.
E' stata una constatazione scontata. Quante persone me l'hanno detto? Quante volte l'ho pensato?
Nella mia mente c'è un essere che sbatte la sua essenza sulle pareti del mio corpo, della mia mente, della mia prigionia.
E' stata un'insinuazione cattiva, che mi fa pensare:''Benvenuta sulla terra, c'era bisogno che te lo dicesse lei?''.
Sì. C'era bisogno che me lo dicesse lei. Vaneggiavo nelle mie fantasie, nei miei desideri, nelle cose mie.
Mi si sono asciugate le labbra, mi si è chiuso lo stomaco ed è così ogni volta.
Ma tu fai finta di niente, ridi, parli, ignori. Indifferente. Interiorizzi le situazioni e scrivi solo ciò che ti fa comodo.
Mi è indifferente anche scrivere, adesso.

L'Occasione

La sentì parlare e si avvicinò a lei, forse per ascoltare meglio.
- Sai, forse il mio problema è che non voglio ammettere di sentirmi sola.
Dichiarò guardandolo accanto a sé, mentre aggrottava le sopracciglia come se non capisse a cosa si riferiva.
- E' un isolarsi che voglio io, sono io che decido di allontanare le persone.
Stettero in silenzio per un po', nessuno dei due sapeva come spezzare quell'opprimente silenzio.
Camminavano per conto loro, pur se vicini. Lei con le mani nella felpa in cui sentiva freddo, lui dritto nella sua compostezza, a passi leggeri e felpati.
Quando la superava di troppo, scaricava il peso in avanti e aspettava che lo raggiungesse.
- Che freddo che fa oggi. Ma quale persona normale si veste così l'ultimo di ottobre? Eppure avevo immaginato che facesse così freddo.
Continuò.
- Che fai stasera?
La guardò ancora una volta interrogativo. La sua espressione la metteva in imbarazzo, l'agitava. E lei odiava sentirsi agitata. Perché la agitava? Perché non le parlava?
- Non guardarmi così. Ti sei mai sentito come se sbagliassi in ogni cosa? Come se fossi ... come se avessi ...? Ecco, io mi sento così. Come se non capissi niente, come se nessuno volesse capirmi e devo capirmi da sola. Ti sei mai sentito come se nessuno ti capisse?
Lui restò in silenzio, sbigottito - forse -. Non avrebbe saputo né cosa dire né come dirlo, dopotutto. 
- Mi fai sentire morta. Mi fai sentire un fantasma, tutti mi fanno sentire così.
Sbuffò, lo guardò per poi abbassare lo sguardo ed imboccarono insieme  una strada senza lampioni che lei non avrebbe mai imboccato se fosse stata sola.
Era una sorta di scorciatoia per arrivare prima in centro.
Seguirono attimi di rassegnato silenzio e alla vista dei negozi e dell'Uomo del kebab il Cane Senza Collare abbaiò. Si voltò verso di lei che era rimasta di qualche metro più indietro ed immaginò che sussurrasse a se stesso: ''Adesso sei tu che non capirai me''.
Si gettò nella folla, si lasciò alle spalle la strana signora dai capelli strani e continuò per la sua strada.
Non la salutò perché i cani non salutano, non la confortò perché i cani non confortano.

- Avresti potuto farmi compagnia almeno fino al prossimo incrocio.