mercoledì 25 gennaio 2017

La bestia


E la cosa che odio è che penso hai fatto bene.

Con una sola parola, ti cade tutto il mondo addosso.
Si frantuma tutto ciò che è intorno a te. Rimani solo, assieme ai pezzi del tuo passato prossimo.
Non c'è più niente, a parte l'unico, angosciante, tormentato pensiero:''E' tutta colpa mia''.
E' tutta colpa mia.
E' tutta colpa mia.
E' colpa del mio passato, dei miei non freni, di tutte quelle cose che ho lasciato in bilico nella mia mente: tutto quello che ho lasciato al caso, tutto quello che ho dato in pasto al tempo. Tutto quello che ho lasciato scritto con la matita perché è difficile cancellare ed è ancor più difficile scrivere con la penna nera. Facile è riscrivere sempre la stessa storia, perché non cambi mai.
Con una sola parola, cade tutto a pezzi, e vorresti cavarti gli occhi, strapparti le vene, ingoiare veleno. Vorresti un colpo al cuore pur di non ascoltare e chiedi a dio, se mi vuoi bene, fammi morire adesso.

giovedì 19 gennaio 2017

Caro diario, vorrei che non finisse mai

Quello scricchiolio di gelo nelle ossa.
Si muove, dilania, non si scioglie.
Mi fa piegare le gambe in preda al freddo, è come se lo sentissi invadere il mio corpo: dalle steppe desolate delle mie gambe, fino alla città gelata della mia mente. Come Napoleone che tenta in tutti i modi di tenere in pugno la Russia.
Lo sento fischiare nelle mie orecchie, lo sento irradiarsi nei calzini bagnati quando piove, e a poco a poco, penetra nelle mie ossa, indebolendomi.
Le mani rugose, violacee, incastrate nelle tasche di cappotti. Sciarpe in cui mi attorciglio in modo da non far infreddolire il collo, il petto, le braccia: i tre punti più delicati per eccellenza, ci ho già sciolto tre scricchiolii.
Sì, fa un freddo cane. Un freddo così si è visto solo nel 2012, qui al Sud. Avevo rimosso le sciarpe di lana che pizzicano, le calzamaglie sfilate, i capelli che ti appiattiscono i capelli ma sono così caldi.
Fa un freddo cane. Eppure, mi perdo nella bellezza di questo inverno, che aspettavo sempre da bambina.

martedì 10 gennaio 2017

... Then I would ...

Venerdì abbiamo fatto l'amore.
Le tue braccia erano la miglior trapunta su cui abbia mai dormito e mentre fuori fioccava e la gente correva per cercare il caldo nei camini delle loro case, io ero nuda, senza calzini, senza vestiti nel tuo letto. E le tue mani mi riscaldavano la schiena e le spalle, mi accarezzavi come se volessi proteggermi, come se fossi porcellana, come se dovessi tenermi a riparo da qualcosa, a riparo da qualcuno.
Mai mi sono sentita così amata, così fusa nel tuo corpo, nella tua mente, in tutto te stesso. E' uno di quei ricordi che si incorniciano e diventano l'idea di un concetto più grande, l'immagine di un universale: l'amore, il tuo nome, le tue mani, il freddo, le coperte. Diventa l'immagine della nostra complicità e mi torna in mente come le insegne pubblicitarie sulle strade trafficate lunghe dieci, venti, trenta metri.
Ti amo. Ti amo come si ama per la prima volta: innocentemente, senza oscura alchimia. Con gli occhi spalancati dallo stupore, lo spavento, la gioia, il senso di colpa.
Come se tutto pesasse, ogni virgola, ogni parola, ogni dito puntato. La paura della spensieratezza, il tuo appagarti in me ed il mio rassicurarmi in te, la soggezione di dire, di fare, di non perdere l'equilibrio.
Sì, la soggezione di non perdere l'equilibrio: addossati l'uno all'altro, con le mani tremanti e le gambe che prima o poi cederanno, su una corda di speranze, aspettative, imprevisti, dissidi. Come due giocolieri al circo.
Ti amo come si ama a tredici e a sessant'anni. Aspettando una chiamata, una vecchia canzone da dedicarti, un bacio, un sorriso. E' calcolare, ritagliare dalla scena e mettere a fuoco tutto quello che fai. Sei un libro aperto, per me. Recepisco ogni cosa.
La tua barba rasata poco spesso, le tue felpe degli stessi soliti colori, gli occhi in cui sprofondo ogni volta che mi dici: ''Quanto sei una stronza''. Ti conosco, ti ho studiato.
Conosci i miei capelli rosso fuoco, i miei capelli rosso rame, le  mille tinte che ho fatto e tutte le frangette che ho tenuto per pochi giorni. Tutti i paia d'occhiali che ho cambiato dalla prima superiore fino adesso, tutti i tratti di me, di ciò che sono, di ciò che mostro agli altri.
Sopravvivo alle tue tempeste di parole, sopravvivi alle mie bufere di neve. Sopravviviamo e allo strenuo di questo inverno insieme, mi sussurri sicuro e deciso:''L'inverno passerà''.

Sì, passerà.

sabato 7 gennaio 2017

O' posto mio

Su un terrazzo illuminato dalle luci della notte
e bagnato dall'insipido mare di Sorrento
sogno di saper scrivere sul mio corpo quello che la notte condanna
ciò che questo bianco perla della Luna mette in palio a chi la guarda
a bocca aperta, e a mani incrociate.
Sì, l'incipit sarebbe questo.
Una poeticità che è pateticità dell'idea stessa di questo momento.
Non c'è terrazzo
non c'è luce
non c'è il mare e non si è neppure a Sorrento.
Su una panchina in mezzo al niente
col vento che soffia e fischia e fa temere che il niente diventi il caos
sogno di saper dare in pasto alla penna il luogo in cui vivo
in cui emergo, in cui rimango a galla.
I palazzi alti e grigio sporco, il silos che è padrone di tutto ciò che è ai suoi piedi
come il dito medio della mano che sovrasta gli altri quattro.
Le altalene, distrutte cento volte in due mesi e riparate almeno duecento volte in più
la Conad sporca in ogni angolo e ogni infessura, i marciapiedi rosicati dal tempo che passa
come un treno italo, veloce, sui binari della stazione
e quelle piante rampicanti sugli edifici popolari che li fanno sembrare ruderi di campagna.
Le persone sono ominidi, la tradizione è Alto Medioevo.
Tutto spento, tutto tace, tutto oscuro nello squallore di queste aiuole che sono diventate foreste
di questa piazza che è solo il posto in cui un pensionato cerca di vivere friggendo panzarotti e simili.
Non c'è terrazzo, non c'è stupore, il fumo dell'inceneritore copre anche le stelle
e la luna, e le rondini, e tutto ciò che c'è di bello nell'alzare gli occhi al cielo
ma rimane casa mia.
Rimane il mio più grande progetto di rivalsa.
Rimane parte di me, rimango qua.

domenica 1 gennaio 2017

Promemoria, augurio per il nuovo anno

Non perdonare mai tre persone: chi ti delude sempre nella stessa maniera, chi vuole farti sentire in colpa qualunque cosa tu faccia e tuo padre.