giovedì 14 novembre 2019

Fiori nel cemento


Sono acqua che dalle tettoie arrugginite
Gocciola goccia a goccia
E si posa, viva, sull'asfalto bagnato.
Sono vento freddo che con sè
Trascina nuvole grigie
Colme di furore e strida.
Sono strada percorsa da mille piedi
Ma oramai desolata, abbandonata
Lasciata a vivere non che di sè.
Dall'asfalto corroso son nati placidi fiori
L'edera abbraccia il ferro del costruito
E le strisce bianche pitturate sulla via
Sbiadiscono piano, mentre cresce il verde
E la vita incomincia.

È piovuto molto.
Ma se non fosse piovuto, le allodole
Non volerebbero tra i rami in fiore
E non canterebbero così bene.

martedì 29 ottobre 2019

《》.

Adesso l'ho capito.
Il mio limite è pensare di avere limiti. Limiti inviolabili, dogmi così radicati nel mio modo di pensare da passare inosservati, quasi fossero normali, quasi fossero automatici. In realtà in questo sistema fatto di prescrizioni e rettifiche, c'è una falla abnorme, la cui grandezza ha fatto sì che il problema si presentasse a me in modo diverso dal solito. In un'ottica diversa, in una prospettiva del tutto inusuale.
Si giunge, prima o poi, alla confessione. In questo processo io sono stata confessato e confessore ed ammetto che per un certo momento l'ho sentita quella necessità di rivolgermi a qualcuno di più grande. Ma in realtà non mi serviva nessuno di più grande, mi serviva qualcuno che conoscesse. Per filo e per segno. Me stessa.
Chi meglio di me può riconoscermi? Risponderei io, ma non è proprio la risposta giusta.
Ciò che ho fatto fino adesso è stato credere di essere diversa, ciò che faccio adesso è chiedermi cosa sia cambiato. Sostanzialmente, tutto. E non parlo del modo in cui porto i capelli, del modo in cui mi vesto o mi relaziono con gli altri. Parlo di me, di come sono davvero e di come cerco disperatamente di essere.
Di come tento di rinchiudere l'abbondanza del mio essere in una scatola chiusa, incellofanata. Di come cerco di addossarmi delle etichette, anche se una volta le odiavo e fuggivo da ogni cartellino messomi in fronte dagli altri.
Se mi chiedete "tu chi sei" io vi risponderò che ho il nome di San Giovanni Battista, l'unico che non ha mai tradito il Cristo. Vi dirò che ho vent'anni e ne dimostro dieci in più, vi dirò che studio quello che amo: la letteratura. Vi dirò che sono simpatica e sensibile. Vi dirò che sono altruista e bonaria. Vi dirò che sono arguta ed orgogliosa. Vi dirò che sono testarda e saputa. Questo è quello che sono. O è quello che devo essere?
Nella mia mente c'è una vocina. Non la chiamerei voce della coscienza, la chiamerei voce dell'autodistruzione.
Immaginate di passare la vostra giornata con un serpente a strisciarvi addosso: vi ammutolisce, vi punta il dito, giudica qualunque cosa voi facciate, diciate, pensiate. Non siete liberi dal suo giudizio: lui vi osserva, vi mostra la lingua minacciosa e quella presenza indesiderata vi avvilisce, giorno per giorno, sempre di più. Immaginate poi che quell'odioso serpente sia la vocina nella vostra testa: come potete allora essere spensierati? Come potete allora essere in pace con voi stessi se avete obiezioni per qualunque cosa vi riguardi?
Vi ho detto che sono sensibile. Ma perchè devo esserlo? Perchè devo rompermi come vetro ad ogni porta che non si apre o che mi sbattono in faccia?
Vi ho detto che sono simpatica. Ma perchè devo esserlo? Perchè non posso avere lune storte anche io, giornate no anche io? Perchè devo sempre sfoggiare il più falso sorriso e continuare a camminare?
Vi ho detto di essere arguta. Ma perchè? Non sarebbe meglio essere stupidi che stupidi si è più felici? Perchè devo avere sempre una risposta pronta? Posso rimanere di stucco anche io?
Vi ho detto che sono orgogliosa. Mi costa tanto fare un primo passo? Perchè penso e non parlo? Non posso illuminarmi d'amore anche io e riversare tutto quello che non ho detto per vent'anni?
E perchè chiedo scusa anche se non ho fatto niente? Quale grande peccato ho compiuto per dovermi scusare ogni minuto della mia vita? Scusa per il ritardo, scusa se non ti ho capito, scusa se non ti ho aspettato, scusami se oggi non mi va di parlare. Scusa se ti tratto male, scusa ma non ho fame, scusa torno subito. Scusa ma ho da fare, scusa continua a parlare.
Il mio limite è pensare di non poter osare. Di non poter sperimentare, di non poter giocare.
Il mio limite è pensare di essere una statua, immobile nel tempo e nello spazio, viva solo nel profondo della mia mente. Il mio limite è pensare di non essere all'altezza: nè per le persone che mi amano, nè per quello che gli altri sognano per me, neppure per quello che io sogno per me.
Quel serpente striscia addosso e mi fa sentire indegna.
In realtà forse lo sono. Sono indegna perchè seppur sappia di valere oro, continuo a trattarmi come rame. Forse indegna lo sono perchè ogni modo è buono per corrompermi, ogni modo è buono per cancellare l'oro che mi ricopre. L'unica che non riesce a vedere il mio brillare sono io.
E forse sarà per questo se prima o poi non brillerò più.

domenica 1 settembre 2019

Dopo la pioggia

Coi fantasmi sempre dietro l'angolo, vivo piccoli attimi di felicità, così piccoli che non lasciano un sapore deciso in bocca.
Coi fantasmi sempre dietro l'angolo cammino, corro, non so dove vado.
Ovunque pur di uscire dalla zona nera.
Ma non esiste zona nera quando la zona nera è nella tua testa. Non puoi fuggire da te stesso. Non c'è via d'uscita dall'oscurità che hai costruito attorno a te. 
Potrai costruire feritoie, ma avrai paura della luce. E anche quando la luce non ti farà più paura non ti basterà quella feritoia per uscirne fuori.
Potrai colorare la tua oscurità. Pennello e tavolozza e disegnerai quanti orizzonti, quanti tramonti, quanti prati fioriti. Ma prima o poi quello spazio sarà completamente dipinto e non basterà. Sarai ossessionato dagli stessi colori, le stesse forme e maledirai il giorno in cui hai pensato di potercela fare. In cui eri sicuro di avercela fatta.
Potrai cercare un modo per uscirne. Forse lo troverai, ma ti renderai conto che un modo per uscirne non c'è: perchè è uno sforzo immane saltare attraverso la tua oscurità, è un salto faticoso che richiede tempo, determinazione, sacrificio. E poi ti accorgerai che ci vogliono dieci anni per uscire da quel tunnel ed un minuto per rientrarci.
Perchè se sei caduto nel baratro, sentirai fossi sotto ai tuoi piedi per tutta la vita. Se sei stato tradito, sentirai quel "fetore" ovunque volterai il viso. Se hai odiato, ripudiato, distrutto te stesso, per tutta la vita sentirai la necessità di punirti.
Dopo la pioggia viene l'arcobaleno. Ma non scordarti del fango, delle pozzanghere, del freddo nelle ossa che rimarrà sempre lì. Testimone del passato e giudice del presente.

sabato 3 agosto 2019

Going through changes

Anche nel dolore, mi sono sempre convinta del fatto che in me ci fosse qualcosa di inimitabile. Qualcosa che non tutti hanno. Qualcosa di indecifrabile e straordinario che rende me diversa dagli altri.
Ho sempre pensato che gli altri non viaggiassero sulla mia altezza d'onda.
Ora, non ne sono più convinta.
Se in me c'è qualcosa di straordinario, questo è un virus o una malattia.
Non sono diversa dagli altri. Non sono come loro.
Sono peggio.

martedì 23 luglio 2019

Buon auspicio

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Verso i mari, gli orizzonti, via da qua.

In cerca di fortuna, in cerca di un nuovo sole
Come le rondini che migrano da un emisfero all'altro.

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Con valigie vuote e scarpe rotte.

In cerca di fortuna, in cerca di nuove lune
Come lupi che corrono liberi ululando al cielo.

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Mano nella mano, io e te, con niente in tasca e niente in mente
Ma tutto qui, nelle nostre mani
Nel nostro cuore
Nella nostra forza quando ne siamo uno, per due.

venerdì 19 luglio 2019

10 minuti o poco più

Mangio l'unghia, faccio un tiro
sputo l'unghia, fumo ancora
mi piace fumare
mi piace fumarla
mi distraggo e poi sorrido
ma poi ripenso, che fastidio
però quei dieci minuti sono da dio. 

Il Mostro sono io

Arriva il giorno in cui uno tira le somme. Per cercare di capire, per cercare di farsene una ragione.
Eppure mai nessun conto è perfetto: dimentichiamo sempre qualcosa, qualcuno, anche il più insignificante dettaglio - che sommato a tutti gli altri, non è poi così insignificante -.
E' difficile ricostruire oggettivamente una vicenda, qualunque essa sia. La memoria è amorosa e poetica e l'inconscio spesso modifica delle circostanze per far sì che tutto vada liscio: non è la memoria ad adattarsi alla realtà, è la realtà che prende le sembianze della memoria quasi cancellando la sua verità.
Per lungo tempo mi sono soffermata su me stessa. In silenzio, ad occhi chiusi. Nei meandri della mia mente ho focalizzato - ossessivamente - l'attenzione su di me, senza che nessuno potesse notarlo. Questi mesi sono stati mesi dalla scorza dura. Ho pensato, ripensato, pensato e ripensato e questo mio flusso di coscienza si è riversato in niente. Non c'è carta che testimoni tutto questo mio pensare e sono sicura che tutto questo sia passato inosservato, o quasi.
Ho sempre insistito su cosa gli altri avessero fatto a me. Sulle mie cicatrici, il mio vissuto, la mia follia. Mai ho pensato di interrogarmi su quali fossero le cicatrici che io ho procurato agli altri.
Anche questo significa crescere: riconoscere i propri errori.
Anche questo significa perdonarsi: accettare ciò che è stato e lasciarlo andare.
La mia cicatrice più profonda, quella dalla quale è sgorgato più sangue, quella che per anni mi ha tormentato e quella che solo oggi, a vent'anni, ho accettato e riconosciuto in toto, l'ho inferta con altrettanta cattiveria ad una persona che non se lo meritava. Per niente. Una persona che è a me vicina, vicinissima, e verso la quale sento un rimorso che mi lacera dentro. Segreti di questo tipo hanno pochi testimoni e così come è successo a me, io credo che questa persona non abbia ancora realizzato cosa sia successo. O forse l'ha realizzato e così come son stata furtiva io, lo è stata lei? L'ha accettato? Ne piange la notte? Sente anche lei quel male dentro che dalla bocca dello stomaco sale fino alla gola? Quel male che ti fa desiderare di urlare ma ti toglie le forze per farlo?
Non lo saprò mai. Perché? Perché un conto è addentrarsi in speculazioni di questo genere, un conto è parlare e rendere tutte queste congetture ed ipotesi, nuda e sporca verità.
E' dura la verità. Dura da capirsi e da accettarsi. E nonostante tentiamo in tutti i modi di farcela piacere - modificandola - certi dati di fatto tornano alla mente come le scene di un vecchio film di cui non si ricorda niente se non quelle scene. E' per questo che sono sicura che lei saprà.
Se non è ancora arrivato, arriverà quel giorno in cui accosterà tutti i tasselli del puzzle e mi odierà - come io ho odiato chi mi ha ferito -.
Quando arriverà quel giorno io non sarò impassibile nella mia corazza di rame: racconterò tutto, dalla A alla Z e implorerò il perdono che nel profondo del mio cuore ho voluto che gli altri porgessero a me. Chiederò perdono e non basteranno le lacrime e le scuse a perdonarmi. E anche qualora questa persona mi perdoni, io non perdonerò mai me stessa. E porterò dentro di me questo macigno fino al giorno in cui morirò, rivivendo tutto ciò che è stato proprio come un film di cui si ricordano solo quelle scene.  Neppure a Dio confesserò questo. E per questo mi punirà due volte e io accetto il rischio.
Le cicatrici non rispecchiano solo il chi, il quando e il dove. Hanno anche un perché, pure se non sempre un perché si trova.
Ho sempre pensato che a certi dolori bisogna essere destinati. Ora non la vedo più così: chi sono io, per infliggere un dolore di questo tipo a un altro? Il Padreterno? L'Onnipotente? Chi sono io per scegliere il destino di una persona? Chi sono io per condizionarla per sempre? E allora se non siamo destinati ... questo dolore è un puro caso?
Mi rifiuto di pensare al caso; noi non siamo plastica versata in mare, libera di percorrere tutte le vie dell'oceano e soggette a qualunque tipo di accadimento.
Io credo che il dolore sia come un demonio che con le nostre esalazioni, con il nostro tocco, si diffonde come un morbo dall'uno all'altro.
Perdonami per quello che ti ho fatto. Non è stato Dio, non è stato il caso. Sono stata io. Sono stata io con la mia inconsapevolezza, che ora è consapevolezza, a farti male. Sono stata io.


sabato 11 maggio 2019

Sogno all'orizzonte

Scrivere per caso era lasciarsi andare al gioco della pura osservazione e invenzione, che si muove fuori di noi, cogliendo a caso fra esseri, luoghi e cose a noi indifferenti. Scrivere non per caso era dire soltanto di quello che amiamo. La memoria è amorosa e non è mai casuale. Essa affonda le radici nella nostra stessa vita, e perciò la sua scelta non è mai casuale, ma sempre appassionata e imperiosa. Lo pensai; ma poi lo dimenticai, e in seguito ancora per molti anni mi diedi al gioco dell'oziosa invenzione, credendo di poter inventare dal nulla, senza amore né odio, trastullandomi fra esseri e cose per cui non sentivo che un'oziosa curiosità. - N. Ginzburg

Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare il pianoforte; magari sarei diventata la Chopin del ventunesimo secolo, o forse non sarei diventata nessuno fuorché quella che ora sono.
Mi sarebbe piaciuto anche imparare a dipingere; magari sarei diventata la Raffaello o la Mantegna del ventunesimo secolo, o forse sarei diventata un'artista di strada, o forse non sarei diventata nessuno fuorché quella che sono.
Ma più di tutti, mi sarebbe piaciuto scrivere.
La poesia è stata per me una compagna di viaggio. E' stata quel contenitore in cui conservare ogni sensazione, ogni emozione, ogni fissazione, ogni incubo. La mia prima poesia l'ho scritta a quattordici anni. La mia psicologa mi chiese di scrivere, visto che non parlavo. E io scrissi. Ma lei quella poesia non l'ha mai letta, c'è stata un'unica persona ad averla letta e forse la persona in questione neppure se ne ricorda.
La poesia è sempre stata catarsi. Sì, una purificazione, un sentimento di pace e armonia. Quando ordini su carta il disordine nella testa, ti senti in pace. Ma soprattutto, ti senti più prossimo a te stesso: ora quella poesia scritta sei anni fa è balzata sulla mia scrivania e quell'odore di chiuso - soffocante - lo sento proprio sotto al naso. Sento anche il rumore della tempesta in arrivo. Ed è bastata una poesia di due pagine e mezzo a farmi vivere di nuovo e di nuovo ancora un momento della mia vita che non mi abbandonerà mai veramente.
E' questo quello che amo della poesia: quello che lasci scritto, una volta scritto, non appartiene più a te. Magari c'è il tuo nome segnato in basso, ma non è più tua. Perché la poesia è una forza centripeta che vive per sé. Ha un'esistenza autonoma che si potenzia quanto più la sua sinfonia fa vibrare gli animi della gente. 

Ed è per questo che amo leggerla. Perché la poesia non è di nessuno, la poesia è di tutti quelli che se ne innamorano. Non ha padroni e non ha schiavi.
Ho ripreso a leggere, in questo periodo. Ed ho letto libri bellissimi. Espiazione, Quando Teresa si arrabbiò con Dio, Il caso del cane ucciso a mezzanotte, La strada che va in città, Il giovane Holden.

Ognuno di questi mi ha lasciato un marchio dentro, specialmente i primi due, che avrei voluto non finissero mai. Quand'ero più piccola pensavo che leggere servisse a sentirsi meno soli. A distanza di anni non credo il contrario. Ma io non leggo perché mi sento sola, leggo perché a volte ho bisogno di astrarmi. La vita ordinaria a volte ti scurisce la vista: come bianco e nero sono le pagine dei manuali universitari, così sono le discussioni in famiglia. E finisci per vedere tutto allo stesso modo: le giornate e i pomeriggi di studio scorrono, le giornate di lavoro finiscono, le serate tranquille finiscono e quando ti distendi sotto le coperte, neppure il buio nella stanza è più scuro della tua ordinarietà. Leggere non è per me solo astrazione. Non mi basta vedere nuovi mondi, sentire nuove emozioni, rifugiarmi in un mondo in cui a tutto c'è inizio e fine e sta a te scoprirlo e sta a te accettarlo.
Quella vena poetica che mi portava a scrivere poesie ad ogni momento del giorno - a scuola, aspettando la sera, a notte fonda - non so dire se si è ostruita o semplicemente non funziona più.
Io credo che si sia ostruita. Credo che fare come faccio - ignorare ogni cosa - mi abbia portato ad ignorare il fatto di avere sempre avuto un'amica con me, la mia penna. E ora, offesa la penna, offesa la vena poetica, più di tre parole in fila non vengono fuori.

Ho provato a scrivere un romanzo, ma sono ferma al capitolo quattro. Ho dubbi, incertezze? No. Difficoltà a stilare una trama, un canovaccio, un programma di narrazione? No. 
Quello che voglio scrivere lo so già. Quello che voglio scrivere mi passa davanti agli occhi ogni minuto.
Voi direte, allora scrivi. 

Non posso: perché la passione, il fervore, la scintilla negli occhi dei personaggi che popolano i miei castelli in aria, scompaiono quando la penna tenta di incollarli al foglio. Non scrivo con leggerezza. I miei schemi mentali mi impongono di guardare la scrittura nello stesso modo in cui guardo alla mia vita: un sistema chiuso, regolato, controllato. In una vita in cui tutto deve essere regola e ciò che non è regola è fonte di disagio, non c'è spazio per la scrittura, che è per antonomasia un processo naturale, leggero, spontaneo. 
Io nella mia vita non posso sbilanciarmi mai. Perché i miei spiriti poi non la finiscono di parlare e incasinarmi.
Ma come posso io scrivere, se sono la prima a censurarsi?

martedì 5 marzo 2019

''Trascorsi giorni interi senza dire una parola''

Immaginate di fare il viaggio attorno alla terra in solo cinque minuti. Un viaggio così veloce che al termine del vostro girovagare non saprete né dove siete stati né cos'è che avete visto.
E' ciò che succede nel mio viaggio nella fantasia: salto da un'epoca ad un'altra, da un personaggio all'altro e nella mia mente restano modelli. Schemi. Non nomi. Non storie. Non trame.
Lo si chiama blocco dello scrittore. Invece io lo chiamerei stato di fermo nel mondo della fantasia.
Vorrei scrivere di tutto e di niente.
La verità è che quando si scrive bisogna scendere a compromessi: non scrivere di te perché non ne avrai mai il coraggio fino in fondo. Non scrivere di ciò che non ti appartiene perché perderai il filo conduttore. Non mettere troppo di te: i tuoi personaggi devono essere un miscuglio di tre elementi (te stesso, ciò che ti piace in chi ti sta attorno e ciò che non ti piace in chi ti sta attorno, ciò che vorresti essere se avessi un altro nome un'altra vita un'altra storia).
Quando si scrive però non si seguono regole. Quando si scrive l'unica regola da seguire è una: liberati e libera i tuoi pensieri. Sii fluido come un fiume, dissetante come un bicchiere d'acqua, limpido come le sorgenti.
Vorrei davvero scrivere col cuore e la penna in mano. Vorrei che tutta questa mia fantasia scoppiasse e mi uscisse dalle orecchie. Ho bisogno di sentire mia la mia unica passione. Ho bisogno di sentirmi mia.
Ho bisogno di sentire la mente scivolare sul foglio e vorrei che la mia mania di censurarmi non bloccasse ogni tentativo di uscire da questo stato di fermo nel magico mondo della mia fantasia.
Vorrei sublimare la mia carica di negatività. Non riesco più a mettere tre parole in fila.

mercoledì 13 febbraio 2019

Tu sei la luce nella notte


In un giorno di tua assenza
tornano gli incubi
ad assillare notti scure e senza stelle.

Zeus quando realizzò di essere impotente
di fronte alla forza dell'animo umano
ci condannò all'eterno peregrinare
dando all'uomo un'unica sensazione,
quella di essere incompleto.
Ogni anima fu divisa con taglio chirurgico
in due simili metà e da quel mitico momento
il viaggio dell'uomo sulla terra trascina con sé
due interrogativi: che ci faccio qui e chi è la mia anima gemella.
L'uomo al primo è capace di rispondere solo
quando esala il suo ultimo sospiro.
Quando la morte abbraccia la nostra fragile esistenza
sapremo  chi c'è a capo di tutto e perché questo nostro
lungo, avventuroso e sfortunato viaggio.
Al secondo l'uomo risponde
quando sente l'anima vibrare
in collisione con la sua immagine speculare.
Quando sente il fiato mancare
quando cresce l'enfasi nella certezza di non aver perso la ragione della sua vita.

Io quando sono con te
travalico le leggi della fisica
non tocco il cielo con un dito
è il cielo che tocca me e penetra in me
mi liberi dai limiti della conoscenza concessa all'uomo.

Zeus non aveva paura dell'uomo
aveva paura del sentimento covato in ogni uomo
che quando si sente in connessione con la sua metà
crede di poter fare tutto:
scampare al giudizio universale, vincere il male
e rifugiarsi nell'unica cosa che può guarirlo.
L'amore della sua metà.
Un'anima quand'è sola è spenta
e il buio rende i suoi spiriti deboli sotto il peso dell'inconsistenza
della vita umana.
Due anime ricongiunte non hanno paura del buio
e colorano insieme i tasselli più scuri della loro unità.

In un giorno di tua assenza
sento le tenebre
bussare alla porta della luce.