giovedì 24 dicembre 2015

La malattia

Non credo sia tranquillità.
Quindi, chiariamolo: il mare è abbastanza calmo, sta al posto suo. E' la marea che ha lasciato il segno. Allegoricamente, se volessi tuffarmi da uno scoglio o se volessi semplicemente sedermi a riva, non so se ci toccherei.
E' come se, dopo la bufera, io non conoscessi più me stessa. Posso immergermi quanto voglio, ma non riconosco più il mio fondo marino. Non so dove ci sono i sassi, dove la sabbia, dove devo stare attenta agli squali.
Quindi che faccio? Non mi muovo. Non sto neanche a riva.
Sto sui gradini del pendio che porta alla spiaggia e non ho alcuna intenzione di spostarmi.
Mi passano accanto tante opportunità, tante occasioni per potermi muovere ed io ho scelto di restare ferma. Zitta, dando l'impressione di non esistere, di non essere combattuta dal buttarmi in mare ed affogarmici e dal buttarmi dal pendio per il sol gusto di sentire qualcosa.
Parecchie persone fanno finta di non vedermi, qualcuno si ferma e mi chiede perché non mi muovo, altri mi chiedono solo di spostarmi e di togliermi dalle palle.
Sto qua con gli auricolari nelle orecchie, a giocare a candy crush, con la sigaretta accesa. Sto qua così come sto a scuola, per strada, a casa.
Porto con me i miei dubbi ovunque vada. E sono così ostinata nel voler trovare la soluzione da sola che non chiedo nemmeno le vite su candy crush ai miei amici. Capite?
Non che mi interessi più di tanto, ad essere sincera. La decisione è presa.
Questa volta decido io come fare, come uscirne. Senza l'aiuto di nessuno. Testarda? Ostinata? Troppo introversa? Sì, ma problemi miei.
Sta a me decidere se spogliarmi e fare il bagno anche se fa freddo o se stare ferma, incappucciata così tanto da non sembrare me.
Questa volta nessuna battuta, nessuno scherzo, nessuna risata.
Questa volta non contate sulla mia simpatia. Questa volta non chiedetemi che succede, perché non succede proprio niente. E non chiedetemi nemmeno cosa potete fare per me, perché l'unica cosa che gradirei facciate è sparire e lasciarmi sola. E non chiedetemi di nuovo se davvero non mi serve niente, perché non mi serve davvero un cazzo.
Risparmiatevi i consigli, le dimostrazioni di affetto, risparmiatevi qualsiasi cosa. Non voglio farci caso.
Ho deciso e davanti a me c'è solo questo, niente altro.

domenica 20 dicembre 2015

Risparmiami gli psicodrammi

''Risparmiami gli psicodrammi su quanto sei evoluto come uomo, capito "Darwin"? Se niente è eterno come dici tu, quando ne parli, i mai e i sempre non dovresti proprio usarli. In ogni caso, tu vai avanti ed io sono fiero di me e certe cose tu prova solo a ripeterle. Le tue promesse camuffate da minacce se sei un amico vero, ora vieni a dirmele in faccia''.

Non mi hai mai lasciato la mano.
E giuro che, pur se sudata, la mia mano era calda
e non ho mai avuto paura del calore che mi hai dato.
La tua stretta era salda
mi tenevi per non perdere te stessa
ed io ti tenevo perché non volevo ti perdessi
e adesso che piano piano il sudore per così tanto calore ti fa scivolare lontano da me
sono io che muoio di freddo
e sento di star perdendo ogni parte di me.
C'è la mano di chi ti ama a non lasciarti mai
e nonostante tu mi voglia bene
devi ammetterlo
il bisogno della mia stretta, che dicevi fosse così importante, non ce l'hai.
E quindi non voltarti indietro.
Non voltarti se mi vedi accovacciata su me stessa con le mani infreddolite per la bufera
e non guardarmi
e non camminare indietro, verso di me
solo perché ti senti in debito per tutte le volte che ti ho messo il cappotto e ti ho accarezzato il viso
con le mani che sanno del mio calore.

Porta con te stessa tutte le volte che per lasciarmi la mano
hai preferito dire una bugia
e portati sulle spalle tutte le volte in cui ti si leggeva negli occhi
l'assenza di necessità nelle tue parole.
Che tu possa camminare, mano nella mano con chi ti ama
su due trampoli di impotenza e insofferenza.
Che tu possa ricordarti di quanto male fai
e di quanto male facciano tutte le cose che mi fai
e che non pensavo fossi capace di fare.



martedì 15 dicembre 2015

Martoriarsi

Fuggivo via da te.
Correvo impaurita
imboccando strade che non sapevo avrei mai percorso
conoscendo gente che non pensavo avrei mai incontrato.
Ho sempre corso
anche quando mancava il fiato
anche coi lacci sciolti
anche coi polpacci che piangevano per lo sforzo
ma non mi sono fermata mai.
Rallentavo solo quando mi accorgevo che non c'era nessuno
a rincorrermi e a pressarmi con le mie stesse paure.
Sono stata ferma sul ciglio di una strada vuota
dove riecheggiavano solo i miei lamenti
e subito
quasi per magia
hai saputo trovarmi
mi sei passato davanti quasi non riconoscendomi
e mi hai chiesto ma perché corri 
perché scappi via da te stessa
ma non vedi che la strada è sempre la stessa?

domenica 6 dicembre 2015

Genuina insicurezza

Sei consapevole del potere che hai su di me.
E non fai che esercitare il tuo dominio sulla mia mente
che è stanca
affaticata
quasi sul punto di non prendersi in considerazione.
Giochi coi miei pensieri
e li provochi come nessuno ha fatto mai.
E poi mi guardi
e non sorridi
né sei arrabbiato o stanco di guardarmi.
E balli coi miei dubbi e le mie prospettive
anche se non sai ballare, anche se
diciamocelo
è l'ultima cosa nella quale sei capace.
Mi spogli delle mie sicurezze
e sfidi la mia ingenuità sapendo di vincere.

lunedì 30 novembre 2015

Incoscienza




E' come risplendere sotto il sole 
dimenticandosi della luce propria.
E' come camminare sotto la pioggia
sotto un ombrello 
dimenticandosi che ciò che non ci bagna le spalle 
ci bagna le scarpe.
E' camminare lasciandosi dietro ogni parte di sé
come quando la busta della spesa è strappata 
e si ha l'impressione che il peso diminuisca passo dopo passo.
E' come confondere lo shampoo col balsamo per i capelli
è come dimenticarsi il bucato steso sul balcone 
è come aprire la porta di casa senza chiedere chi è che bussa
è come girare in negozio a negozio pur non avendo niente da spendere.

martedì 24 novembre 2015

Allergica alla vita tra la gente

C'è una sola cosa che odio più di tutte le altre: la patina fin troppo solida che si fa sulla cioccolata calda se la si lascia per due secondi ferma nella tazza per la colazione.
E se mi fosse concesso di rivelare solamente due cose che odio con tutta me stessa spiegherei il mio insormontabile astio per quella patina del cazzo e per chi getta le carte delle pizzette che mangia a terra, fin troppo lontano dal bidone per fingere distrazione.
Odio gli uomini completamente schifosi, che pur se padri e nonni, non fanno altro che fischiarti dall'altro lato del marciapiede come si fa con le prostitute di Via Nuova.
Odio i professori ignoranti, quelli che c'hanno due lauree e non sanno mettere in fila due parole, quelli che pur non conoscendo l'italiano insegnano latino e greco e pretendono di valutare i propri alunni con l'agio del quattro e del cinque.
Odio chi si fa le canne in bagno e non ti fa nemmeno fare un tiro.
Odio i cornetti del bar vicino scuola che sono sempre troppo vuoti, le marlboro che costano sempre più e quelli che quando camminano per strada non occupano uno spazio ben preciso ma si muovono a cazzo di cane.
A proposito, odio quelli che portano a cagare i loro cani nei parchi pubblici e non hanno nemmeno la decenza di pulire il posto che sporcano. Odio il camion della raccolta differenziata che passa sempre troppo tardi, quel fottuto gatto della vicina che non smette nemmeno un minuto di rovistare nelle buste della spazzatura. Quelli che parcheggiano sulle strisce pedonali, quelli che per strada si fermano e pretendono che tu stia lì ad aspettarli mentre occupano tutto lo spazio.
Ma andate a 'fanculo.

Niente più da ricordare

Ho ancora la tua felpa nel cassetto.
Quella nera.
Quella nera con la chiusura lampo e le maniche grige, quella che praticamente ti trascinavi sulla spiaggia ad aprile perché ''faceva caldo''. Quella che poi presi, piegai e misi nella borsa. Quella che mi dicesti di portare con me, così da pensare che nonostante stessi lontano avrei avuto perennemente il tuo fiato sul collo, il tuo odore addosso.
Quella felpa non è mai stata spostata dal cassetto in cui sta.
Quella felpa non è mai stata né toccata né tanto meno più indossata da me.
E se cinque mesi fa adoravo metterla appena uscita dalla doccia, illudendomi di poter abbracciare una parte di te, adesso non riesco nemmeno a vederla nell'ultimo cassetto dell'armadio.
Sta lì, da sola, senza che nessuno la tocchi, senza che nessuna cosa sia in contatto con lei.
Non mi emoziona più vederla lì sola ma non riesco a ricoprirla di altri miei vestiti: perché il tuo odore non dovrà esser mai più sentito, perché i miei vestiti non dovranno mai più sapere di te, perché niente deve ricordarmi te.
Ciò che è mio, rimane mio. Ciò che è tuo deve essere cancellato, bruciato, gettato nel bidone delle cartacce nella mia stanza.
Quella felpa mi terrorizza e non riesco ad aprire quell'inutile cassetto perché ho paura del tuo odore invasivo, che temo si disperdi per tutta la stanza, per tutto il mio corpo, come fanno i dolci di mamma mentre cuociono nel forno durante i giorni festivi.

venerdì 20 novembre 2015

O' ssaje comme fà o' core

In un'intervista, a Massimo Troisi è stato chiesto quanto fossero importanti per lui l'amore, la passione e l'amicizia. Non ricordo precisamente com'è che rispose, ma ricordo con sicurezza una sua affermazione riguardo le passioni e l'amore. Spiegò che, a parer suo, l'amore ha un valore quasi inestimabile. L'amore non muore mai, perché lo stesso briciolo d'amore che si perde è possibile ritrovarlo in ogni singola passione, in ogni singola persona. Ripeté più volte che l'amore non può essere un qualcosa di distruttivo, che l'amore non è malattia. Perché la malattia ci fa morire e basta, con la malattia non c'è via d'uscita. Con l'amore è diverso: l'amore non ci fa morire e basta. L'amore torna, l'amore c'è sempre anche quando non lo vediamo e anche quando ''non siamo amati'' c'è sempre qualcuno o qualcosa che ci testimonia ancora la sua presenza. Ricordo bene l'esempio che fece riguardo ciò: l'amore, se fosse malattia, non lo vedremmo negli occhi della tabaccaia giù al bar. Non lo vedremmo da nessuna parte e se morisse in ognuno di noi ci sembrerebbe anonimo, quasi invisibile.
Troisi riteneva la passione importantissima nella vita di ogni singolo uomo e, a detta sua, rifiutare una passione è da veri stupidi poiché poi alla fine bisogna aspettare la prossima. Non si deve avere paura delle passioni perché sono appunto passioni. E se mai ti chiedessero: ''Perché non è durata?'' bisognerebbe semplicemente rispondere dicendo:''Era una passione, per questa non è durata''.
Ma cosa significa passione nel senso stretto della parola? E tramite quale accordo si decide se l'essenza di una relazione debba essere passione o amore? Sotto quale criterio? E se ciò che per me fosse passione per lui non sarebbe che amore? E se fosse il contrario? Troisi la fa facile. Non bisogna avere paura. No!
La verità è che non bisogna avere paura, bisogna addirittura esserne sgomentati. Bisogna fare tanta attenzione alle passioni e all'amore, poiché si tratta di un mondo puramente illusorio. Un mondo in cui realtà e fantasia si fanno guerra e a te non resta che ignorare ogni cosa, a partire dalle passioni per finire con l'amore.
Sarà una mia semplice complicanza ma vedere negli occhi del barista l'amore che non mi vibra dentro da un po' di tempo è a mio parere malattia. Una malattia demolitrice, che distrugge ogni parte di noi e più che col desiderio di amore ti lascia dentro il desiderio di non averlo mai conosciuto, l'amore.
Diciamo che quell'intervista mi sta tormentando la mente.

domenica 15 novembre 2015

Signorilità

''Get off my mind, give back my heart, and get the fuck away from me''.

E' un tormento.
Un continuo calvario.
Tutti i giorni la stessa croce.
E spesso mi chiedo ''ma perché?''.
E il perché non c'è.
E spesso mi dico che la colpa è mia.
Ma poi ti osservo e mi dico che sì, sei mostruosamente infame.
E quindi me ne convinco ogni secondo di più: la colpa è tua.
E tua la colpa, tua la punizione.
Mio il calvario, mia la vittoria.
Io mi limito all'osservazione, alla deduzione.
Mi limito ai cazzi miei.
E a te non resta che sopperire, che bruciare mentre ti guardo morire per le tue stesse puttanate.
Come Nerone con la sua Roma.
Sei una persecuzione.
Un supplizio.
Un'assillante bruciore all'altezza del petto che divampa in fuoco ad ogni metro che ci avvicina.
E non ti resta che scappare, mi dici.
Correre quanto più lontano da me e da quello che ti ho fatto diventare.
E se ti dicessi che in questo morboso gioco che è l'amore a scappare devi esser tu, questa volta?
Più ti guardo e più mi assale il desiderio di sbranarti.
Di ingoiare ogni parte del tuo essere.
Di dilaniarti l'anima e squartarti senza alcuna pietà.
Come Crono coi suoi figli.
Più ti guardo e più ti odio.
Serbo più rancori che gioie.
E mi hai uccisa come fa un cacciatore con un cervo.
E hai venduto la mia forza come si vende il fumo: di nascosto, non mostrandomi quello che era in realtà il tuo scopo.
Mi hai venduta come si vendono le puttane.
Mi hai schiacciata come si schiacciano gli scarafaggi nelle cantine.
E adesso che strisci sotto i miei piedi non ho la cattiveria di calpestarti.
Ma ho almeno tre grammi di vendetta che mi danno il potere di scostarti dalla mia strada col piede destro.
Come fanno i passanti sul corso Resistenza quando devono togliersi dai piedi le bottiglie di birra lasciate lì il giorno prima.


giovedì 12 novembre 2015

Maledetta fermata

E’ da un po’ di tempo che mi tengo occupata stalkerando un ragazzo che vedo ogni giorno alla fermata dell'autobus.
Credo che abbia attirato la mia attenzione perché ho la convincente impressione che i suoi comportamenti siano simili ai miei: è gentile, lo sento spesso dare il buongiorno a chiunque proprio come faccio io. Cammina con le mani nelle tasche della felpa e nella tasca del pantalone tiene sempre il cellulare al quale sono sempre collegati gli auricolari. E’ altissimo, troppo magro e porta sempre tute larghe necessariamente grige. Gli ho visto ai piedi le adidas superstar bianche e nere, come le ho io. Cammina con gli occhi fissi a terra e in un primo momento mi ha dato l'impressione di una persona triste. Qualche settimana fa ho visto la somiglianza più sconvolgente di tutte: quando cammina per il vicolo della fermata, abbastanza lontano dagli altri ragazzi che prendono il pullman per andare a scuola, sbuffa. Sbuffa, ha l'aria scocciata e imbronciata e spesso si stropiccia gli occhi e mi sembra tristissimo. Una tristezza che non ho mai visto negli occhi di nessuno. Superiamo il vicolo, si avvicina ai suoi amici e fa semplicemente ciò che faccio io coi miei amici: ostenta disinvoltura. Ecco cosa sottolinea la somiglianza tra di noi: entrambi facciamo finta che non ci sia niente di cui parlare e semplicemente ne parliamo con noi stessi. Credo che non si voglia molto bene e che, quasi sicuramente, cerchi il metodo giusto per non pensare a ciò che lo tormenta continuamente. C'era anche lui al corteo di martedì e l'ho visto rollare un bel razzo che aveva finito di fumare in nemmeno cinque minuti.
Mi ricorda tanto me.
Divoriamo ciò che ci fa male in modo da convincerci di potere tutto. Farmi le canne, così come per me e così come per lui, credo sia l'unica cosa che mi dà il potere di decidere per me: è un quarto d'ora, se ti va bene, di incoscienza e spensieratezza che ti libera da qualsiasi preoccupazione e da qualsiasi malessere psicologico. Rientri in te, diventi padrone dei tuoi cazzo di pensieri e sai giostrarli come cazzo vuoi.
Mi ricorda troppo me.
E’ come se vedessi me stessa in una versione maschile, molto più alta e molto più magra. E’ quasi assurdo.
Oggi però la sorte non si è accontentata di vederci a due metri distanti.
Oggi si può dire che ci siamo tecnicamente presentati, ecco.
Stamattina non ero in ritardo ma lui sì. Ero sul marciapiede destro e d'improvviso me lo trovo davanti. Salto dalla paura esclamando col fiato corto:“Madonna!”.
Mi sono casualmente “difesa” mettendogli una mano all'altezza degli occhi e lui mi ha abbassato la mano non simulando alcuna espressione. Gli ho poi chiesto scusa ma non sono riuscita a sentire nessuna replica, dato che tra l'altro avevo gli auricolari con la musica ad alto volume e non capivo un cazzo.
Quel contatto mi ha quasi imbarazzata, di fatti subito dopo il piccolo incidente ho continuato a camminare dritta e rigida più che mai.
Non mi sono voltata per vedere se magari anche lui si voltasse. Non ho più tolto gli auricolari per tutto il cammino perché non c'era più nulla che meritasse la mia attenzione.
Lui mi ha preso per il polso, ha probabilmente sentito l'odore del mio profumo e sa, adesso, di che colore sono i miei occhi (anche se, riflettendoci, chi mi dice che sia così interessante sapere queste cose così ridicole su una persona di cui non si conosce neppure il nome?).
Io, invece, so meno di niente.
Non so se avesse o meno gli auricolari, non so se magari aveva detto qualcosa, non so che pensa adesso, non so se le pippe mentali se le fa pure lui così come me le faccio io.
So solo che mi incuriosisce fin troppo e che pagherei in contanti per sapere anche solo come si chiama.
Può un incontro del genere condizionarti così tanto?!

sabato 7 novembre 2015

Svigorirsi



Sbiadisco 
nei tuoi ricordi
e nella tua quotidianità
mentre tu continui a scrivermi dentro
come un pennarello nero.
Nero marchiato di esasperazione 
nero di un'importanza che opprime il blu dei giorni miei
rendendomi stranamente insofferente.
Come se non esistessi
come se non fossi mai esistita.
Sbiadisco 
come il tatuaggio 
sulla pelle di un anziano latitante
che corre senza mai guardarsi indietro
senza mai ricordarsi dei delitti e dei castighi 
delle condanne e degli interrogatori in tribunale.
Sbiadisco 
oppure sono già sbiadita?
Ti ricordi almeno il colore degli occhi miei
o sono già diventata la polo scolorita nella lavatrice dei ricordi tuoi?
Magari mi butterai. 
Magari mi getterai via senza nemmeno pensarci
e che ne sarà mai di me?
Sbiadisco piano piano
mi dicono
ma io mi sento già priva di ogni colore.
Mi sento già grigia
priva di qualsiasi sfumatura lontanamente paragonabile alla splendida versione che dai di te.
La luce batte sopra il mio capo
e il rosso dei miei capelli sembra più rosso che mai 
e il verde degli occhi miei è più chiaro del solito 
e affogo nel mio riflesso
che maschera il grigiore dell'umore mio 
e affogo nelle mie stesse lacrime
che quasi non si vedono
che solcano ogni centimetro del mio viso
che sa così tanto di te.
Mi osservo. 
Scosto i capelli di lato 
e mi sembra di sentirle le tue labbra sul mio collo.
Quel rosso è ripugnante.
E quel verde riflette troppe cose. 
Dieci passi indietro.
Inumidisco la manica della felpa 
asciugandomi il viso
e poi capisco.
Sono seta.
Seta cenerina 
e se non saranno le tue dita ad accarezzarmi la mattina 
quando fuori fa freddo e mi sembra di esser tutt'uno col cielo
lo faranno le mie dita ruvide, stropicciate, infreddolite
che impareranno ad amarmi 
tanto quanto mi hanno amato le tue 
che impareranno a conoscermi 
ad accarezzarmi l'anima quando inizia a farsi più scura.
Fino a diventare nera. 

martedì 3 novembre 2015

Come quando giocavamo a ladri e poliziotti




Batte nel mio petto come pioggia su vetro.
Dilania l'anima mia 
spezzandola in due parti sconnesse 
che disabilitano ogni mio accenno di dimenticanza.
Riscaldo il mio malumore 
non riuscendo, comunque, a sbrinare 
il ghiaccio dei ricordi miei
che surgelano ogni mio movimento
come quando giocavamo
a ladri e poliziotti
e ci congelavamo ad ogni tocco ed ogni spinta.
Oggi abbasso la testa all'apatia
e mi arrendo ai ricordi.
Oggi abbasso la voce
per non alzarla troppo
e alzo le mani 
arresami alla tempesta.

venerdì 30 ottobre 2015

Immobilità

''L'amore non esiste, è solo una sopportazione estrema. 
Un susseguirsi di sguardi col nodo alla gola a cena.''






Osservo il mondo che gira
attorno alle tue gioie
e muoio
sul ciglio della strada 
come se fossi una sigaretta
bruciata dalla tristezza
che si accumula 
come immondizia all'angolo del bidone
e marcisce 
rendendomi impossibile anche solo respirare
anche solo camminare 
senza rischiare di inciampare. 

lunedì 19 ottobre 2015

Tre categorie di persone, in due delle quali riponiamo tutta 'sta gente di merda

Cinque persone su dieci agiscono per prevalere in ogni qual modo su qualcuno che reputano nettamente inferiore, umiliandolo e facendone merda sotto i piedi solo per avvantaggiare se stesse. Questa categoria di persone è cattiva, doppiogiochista, finta, manipolatrice e bramosa di ogni cosa (che, tra parentesi, ottiene sempre e comunque servendosi di ogni mezzo esistente sulla terra).
Cinque persone su dieci sono succubi delle persone appartenenti alla categoria sopracitata: si accontentano di una persona meschina e leccaculo solo per avere la compagnia (affettiva o sentimentale) di qualcuno. Si accontentano della merda pur di non sentirsi soli. Non hanno alcuna valenza nella società o in alcuna cerchia di persone perché non hanno il coraggio di imporsi, perché abituate ad essere schiacciate come scarafaggi dalla falsità delle persone cattive che sanno benissimo di poterle controllare a loro piacimento.
Zero persone su dieci, pur dai sentimenti nobili, dall'acuta intelligenza e dalla vivida sensibilità, hanno il coraggio di dire la propria. Questa categoria, praticamente estinta nella società odierna, professa una profonda sincerità e una profonda schiettezza tale da urtare intensamente chi vuol dominare su ogni cosa e, proprio per questo motivo, è spesso la categoria di persone più disprezzata e non desiderata nell'ambiente di comune discussione (dato che, aperta e chiusa parentesi, chi troppo parla troppo è disonorato).

sabato 17 ottobre 2015

Ammalarsi in una giornata di sole



Si posò sul mio petto
come una foglia
che in autunno
cade sul terreno freddo
e riposa fino a che il vento non la sposta altrove.
Mi accarezzò
come se fossi un bimbo
mi cullò
nell'oblio del mio essere sofferente
mentre il vento correva
senza raggiungere mai
la foglia spostata
che si alzava più in alto
per paura di farsi amare.
Si incastrò nelle viscere della mia mente
incontrollata, incondizionata, incontenibile
come se fosse cotone nell'ago
che si ostina a ricucire ogni parte
di ciò che più non è
di ciò che più non esiste.
La sua assenza si posò
come neve
che in pieno inverno
cade tra i capelli di chi freddo non ha
e si scioglie, bagna, stordisce e fa ammalare
l'anima. 

mercoledì 14 ottobre 2015

L'amour est une malheur



Alla fine non si tratta nemmeno di non voler bene ad un'altra persona.
Si tratta, specifichiamolo, di aver imparato la lezione e di decidere di non impazzire più per nessun altro.
Sarà un bisogno umano, momentaneo e forse anche essenziale per il periodo che sto passando ma spesso ho la vaga impressione di non poter dimenticare ciò che è successo tra me e lui.
In questi ultimi giorni ci penso più del dovuto e segno ogni dettaglio, ogni frammento di ricordo troppo lontano dal mio ''presente'', chiamiamolo così.
E' come se sotto sotto non avessi il coraggio di scordare. E' come se la mia mente non volesse dimenticare. Ed è possibile restare sempre fermi a pensare alla stessa (e inutile) persona? E' possibile dimenticarsi di vivere e rinchiudersi in una palla di vetro?
Che poi, non penso di essermi chiusa in una palla di vetro: io sono incastrata in un vicolo senza lampioni e senza via d'uscita e alla mia destra c'è un edificio vecchio e alla mia sinistra uno nuovo. Sono entrambi ricoperti da un telo nero e io non riesco a capire quale tra i due è l'edificio che fa per me. E' meglio gettarsi nel lato delle cose vecchie e delle certezze in cartapesta o buttarsi nel lato delle cose nuove, delle cose da scoprire?
Il bello è che so di avere ancora tante cose da fare. Andiamo, con quanti altri ragazzi devo ancora uscire? Milioni. Quante altre cose devo ancora fare? Miliardi.
Quindi, la domanda è: devo o non devo abbattere definitivamente quel cazzo di edificio vecchio, decadente e leggermente impolverato? Devo o non devo dimenticarmi del calore di quell'edificio, della sicurezza di quell'edificio e la serenità che quello ''emanava''? Quella era casa mia. Come posso dimenticarmene? Ho dato una parte di me a quell'edificio e pensare che quella parte di me cada insieme a lui mi fa male da morire. E se si potesse, se solo ci fosse un'unica e sola possibilità io la giocherei. Farei di tutto pur di tornare a casa mia, investirei milioni e milioni per far sì che quell'edificio vecchio diventi nuovo.
E se ci fosse nessun prezzo? E se quell'edificio è semplicemente destinato a crollare? E se, insistendo, l'edificio crollasse e mi farei di nuovo, per l'ennesima volta, male? Sarei disposta a mettere il mio benessere psicologico al secondo posto per un edificio che forse non mi aprirà nemmeno la porta? E' una cosa strana.
E' desiderare di fare cose diverse, con persone diverse, pensando cose diverse e pentirsi anche solo di averlo pensato. E' negarsi ogni tipo di stravaganza per una cosa che è stata ma che è oramai passata.
A volte mi chiedo: perché ci stai ancora appresso? Cosa ha fatto questa persona di tanto importante per te? Come hai fatto a legarti a lui così tanto da non potertene più staccare? E' finita, basta. Accettalo, rassegnati e vai avanti.
Così come l'hai conosciuto così te ne scorderai, così come l'hai amato così lo odierai. Ma è davvero così semplice odiare una persona? E' davvero una cosa semplice odiare una persona che vi ha fatto sentire così belli, così al sicuro, così protetti da ogni cosa cattiva che potesse succedere? E' possibile odiare il sapore del bacio di chi ti ha baciato mentre piangevi, di chi ti ha rassicurato mentre soffrivi, di chi ti ha abbracciato mentre non sapevi come fare o come spiegare? Come si fa a dimenticarsi di cose così belle e così importanti?
Non me ne scorderò mai.
Non mi scorderò mai del suo corpo sul mio, dei suoi capelli sulla mia spalla, del modo in cui parlava, in cui rideva, in cui mi fissava.
Quando ami una persona con ogni riserva, giocando con ogni tuo punto di forza e condividendo ogni difetto e pregio con lei non ti aspetti che tutto possa finire. Non è una favola, lo sai. Ma conosci quant'è sincero il suo amore. Conosci quanto c'è dietro un bacio, dietro una carezza. Quando stai con una persona e la ami così tanto e ti senti amato in un modo quasi ''spontaneo'' sei sicuro che è quell'amore di cui non ti scorderai mai.
Ma che differenza c'è tra ricordare l'amore o la persona che si ha amato? E' possibile ricordare di aver amato e di esser stati amati senza personificare l'amore in quella persona?
Nella mia mente l'amore è alto, ha i ricci biondi e le labbra carnosissime.
Nella mia mente è impossibile pensare all'amore senza pensare alla persona che più ho amato in tutta la mia vita.
Il vicolo è buio, è un vicolo cieco e a sinistra c'è l'insegna ''fare tutto'' e a destra l'insegna ''fare niente''. Sono combattuta tra il desiderio di fare e buttarmi nella mischia e la paura di non uscirne viva o addirittura di uscirne a pezzi.
E' come se sentissi il bisogno di abbattere l'edificio vecchio e cercarmi casa in quello nuovo. E spesso mi dimentico che per abbattere un ricordo, per abbattere una persona, ci vuole tempo. O forse, più che tempo ci vogliono le palle.
Ah, che cosa strana che è l'amore. Che cosa ridicola.
A che serve innamorarsi e farsi in quattro pezzi per una persona che alla fine del giro scende dalla giostra senza salutarti? A che serve innamorarsi di una persona che manipola la tua giostra e quando si è scocciato di usarla la blocca facendoti rimanere là sopra, in alto, con la paura di cadere e con la paura di scendere, in qualche modo?
Che confusione.
Le due parti di me giocano a carte coi miei pensieri e le mie emozioni ballano la tarantella mischiandosi e rimbombando nella mia piccola e bacata testolina di merda.


sabato 10 ottobre 2015

La tua voce nell'anima

Parlo di te come se non fossi mai esistito.
Senza rabbia, senza rancore, senza interesse.
Parlo di te come se fossi una cosa dimenticata.
Non mi attorciglio, non balbetto ma dentro tremo.
Tremo, brucio, muoio.

lunedì 28 settembre 2015

Quando bellezza diviene ossessione


Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio.
La scollatura a cuore non le piaceva. L'abito principesco le donava davvero poco e lo strascico era fin troppo lungo. In definitiva: tutto appariva troppo sfarzoso per i suoi gusti e si sentiva ridicola con quell'ammasso di lustrini e balze arrotolati sulla sua imponente corporatura.
La commessa le chiese per la millesima volta come dovesse essere dettagliatamente l'abito dei suoi sogni.
- ''Voglio solo essere bella''.
Rispondeva sempre e solo così, irritando la giovane donna che sbuffava rumorosamente, infastidita dallo strano sorriso rassegnato dipinto sul volto di Lavinia, che continuava a guardarsi rapita da quel bianco gesso immaginandoselo addosso in quel tanto atteso giorno.
Le fu proposto un abito stile impero. Accentuava la sua altezza, le assottigliava il punto vita ma quel tessuto lucido, che le ricordava tanto la seta, non la convinceva per niente al mondo. Era un abito troppo semplice, quasi anonimo. Le spalline erano pressoché fastidiose e non si sentiva certo a suo agio in un abito così comodo ma così monacale.
Quando era bambina non avrebbe mai immaginato di indossare abiti del genere.
In realtà Lavinia immaginava solo di essere bella.
Bella, magra e felice.
Si perse nelle sue fantasie da bambina che continuavano a condizionare il suo concetto di abito da sposa.
L'ultimo dei venti abiti che aveva rigorosamente sezionato le stava davvero male. Era un abito a sirena, dalla scollatura fin troppo profonda ed il bianco, quasi smorto, non contrastava col colore delle sue braccia ceree.
Sembrava un cadavere. Le stava categoricamente male.
L'abito dei suoi sogni lo incontrò sul sito di un'atelier a Roma. Era di una bellezza sorprendente: in stile impero, di color avorio, dalle maniche in pizzo, con scollatura a cuore coperta da una pioggia di lustrini di un colore leggermente più scuro dell'avorio. Rimase come incantata. Si immaginò con quell'abito così meraviglioso e con un raccolto benfatto che le conferiva un'aria di assoluta eleganza e benessere con se stessi. Si immaginò correre per la navata con un rossetto - più scuro rispetto il colore delle sue labbra -  a contornarle il sorriso. Si immaginò lo strascico abbastanza corto ma così dannatamente splendido a toccarle la pelle delle gambe mentre camminava, mentre si muoveva in quell'abito che la faceva sembrare la donna più bella di tutte.
Si sentì estasiata solo all'idea. Sorrise per il resto della giornata pensando che con quell'abito avrebbe passato il momento più bello di tutta la sua vita.
Una settimana dopo, venerdì ventitré settembre, Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio dell'atelier più grande di Roma.
La commessa l'aiutò ad abbottonare l'abito che sembrava le stesse a pennello. Era ansiosa di guardarsi allo specchio, non vedeva l'ora di scoprirsi gli occhi e rivedere ancora una volta le sue fantasie di bambina materializzarsi in uno specchio che solitamente ostentava una versione di lei che le garbava veramente poco.
A contornarle il sorriso c'era un rossetto rosso e i capelli, lavati e profumati e solitamente tenuti sciolti, erano legati in una complicata acconciatura che una parrucchiera le aveva gentilmente proposto per l'occasione.
I bottoni furono abbottonati, lo strascico fu sistemato e Lavinia si scoprì gli occhi.
Non aveva mai visto una Lavinia così bella.
Non aveva mai visto una donna più bella, sofisticata e meravigliosa di quella che vide in quello specchio, il venerdì ventitré ottobre.
Ciò che vide quel giorno riflesso nei suoi occhi azzurri non lo vide più in nessun'altra emozione e con nessun altro abito. La felicità e il benessere che le aveva donato quel momento lo ricordò ogni istante della sua vita.
Finalmente, Lavinia si era sentita bella. Finalmente si era sentita donna, ostentando un'eccentricità che non le apparteneva e sentendosi una donna desiderabile, una donna da ammirare col fiato sospeso.
Lavinia si era sentita in pace con ciò che era. Lavinia si era sentita splendida quanto una ninfa greca o, addirittura, splendida quanto la stessa Afrodite.
Tornò a casa sentendo che una parte di sé era appena stata completata, che finalmente aveva trovato ciò che cercava.
Quella sicurezza intagliata all'amore per se stessi e per la propria immagine durò molto più delle altre volte. Persino il giorno dopo Lavinia camminava solennemente nel suo abito stile impero, di color avorio, dalle maniche in pizzo, con scollatura a cuore coperta da una pioggia di lustrini di un colore leggermente più scuro dell'avorio.
Persino due giorni dopo Lavinia, con l'acconciatura sfatta, gironzolava per casa sentendosi la donna che avrebbe voluto sempre essere.
Persino tre giorni dopo Lavinia, con una leggera strappatura alla manica dell'abito, rifletteva insistentemente su come avrebbe dovuto essere il prossimo suo abito da sposa. Su come sarebbe stata bene con indosso quel vestito visto in vetrina nel nuovo atelier a via Ugo Foscolo.
Finalmente tolse quel vestito così scuro, così largo, così eccentrico che la faceva sembrare una donna di poco conto, una villana come tante. Sarebbe mai possibile sentirsi bella in un vestito del genere? Quei lustrini eran così appariscenti e sontuosi da farla sembrare fin troppo ridicola.
Lo aggrovigliò su se stesso e lo ripose assieme a tutti gli altri vestiti che l'avevano fatta sentire bella per troppo poco tempo.
Come se fosse uno stupido ed inutile vestito a farci sentire eternamente belle.
Poi, venerdì ventisei settembre, Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio di uno dei tanti atelier che non l'avevano ancora resa la donna piacente che aveva sempre e comunque voluto essere.

giovedì 17 settembre 2015

Depressione

Ed è conflitto.
Il passo spedito che fa tremare le dita
risuona per il lungo e buio corridoio.
La porta sbatte
la voce s'abbonda e si sparge
come sangue su tela
nelle lacrime di chi piange
perché amato non è.
Ed è pandemonio.
Soqquadro in chi cerca di capire
di ingoiare l'amaro boccone
la cui definizione la si cerca col nome di verità.
Ed è disperazione.
Le urla incessanti e tormentose di chi altro non fa che calarsi
in una fangosa e sudicia fossa
della quale solo il nome si sa.
I singhiozzi di chi l'angoscia passar non sa farsi.
I rancori di chi cala la testa, si stropiccia gli occhi con le mani
pensando di essere quel che non va.
Con un malanno incollato al petto
che nemmeno una risata sa curar.

martedì 15 settembre 2015

Coloriamoci di grigio perla

Eccoci qua
a sfidare il tempo
ad ammazzare il destino
e ad ucciderci ogni volta.

L’amore c’è
ma non si vede.
L’amore c’è
ma non si tocca.
Si vive e basta.

E noi, amore mio
lo stiamo vivendo
o lo stiamo patendo?

sabato 12 settembre 2015

Pandemonio nella mia testolina bacata

A volte mi capita di pensare a come gli altri mi vedono, a come sembro vista da fuori con gli occhi di chi mi ha incrociato per strada o per i corridoi della mia scuola.
E' come se non avessi il controllo di ciò che sono: spesso sento di vedere una me che non esiste, una me che ho inventato nella mia testolina bacata.
Mi capita di fissarmi allo specchio per ore e dire a me stessa:''Ma sono davvero così?''. I miei capelli sono come li vedo io? Le mie gambe sono come le vedo io? E la mia faccia è come quella riflessa nello specchio?
A volte l'idea di come vorrei essere e di come penso di essere mi condiziona a tal punto da impazzire.
La mia autostima influisce tantissimo sull'opinione che ho di me. Ci sono giorni in cui penso:''Cazzo, questo pantalone mi fa sembrare davvero figa'' e magicamente le mie gambe sembrano più magre, l'andatura più dritta, il sedere più ''alzato''. Al contrario, invece, oggi mi son vista allo specchio e ho pensato:''Credo di essere ingrassata, prima avevo il punto vita più sottile'' e sì, continuo a ripeterlo, magicamente sono diventata la donna più grassa e brutta del mondo.
Sono arrivata al punto di non sapere come sono, cosa sembro. Nella mia testa o sono una figa pazzesca o un cesso ambulante col sedere enorme e la faccia da tossicodipendente.
L'opinione che ho di me influisce addirittura nel mio modo di essere: non mi sono mai lamentata di me di fronte a qualcuno. Se penso di essere un cesso me lo tengo per me, non adoro mettermi in mostra con questo genere di cose.
Ultimamente sono diventata ridicola! Vedo le mie amiche belle come il sole e penosamente esclamo:''Beate voi ... io sono brutta, io sono cessa, io faccio schifo!''. Diciamo che la cosa mi sta sfuggendo di mano.
E sono tesa come una corda di violino. Ho sempre paura di lamentarmi troppo e nel mio cervello autostima ed autocommiserazione fanno a gara per chi deve rovinarmi la giornata.
Il dubbio che più m'assale e che mi fa scrivere 'ste stronzate su un blog che non si caga nessuno è: io come sono, alla fine? Le mie gambe come sono? I miei capelli sono belli come li vedo io? Io sono come quella che vedo nello specchio?
Non sono mai stata una persona mentalmente ''normale'', ma in questo periodo la mia illogicità tocca punti estremi che non ha mai toccato prima.

Il tramonto mi guarda e dice:''Ma che stupida che sei''




Un giorno o una notte?
Mi basterebbe una notte.

Mi basterebbe una sola notte
per dirti tutto quello che non ti ho detto mai.
Una sola notte per amarti
come non ho fatto mai.

Mi basterebbe un giorno?
Mi basterebbe un giorno.
O forse non mi basterebbe nemmeno una vita?

Mi basterebbe un solo ed unico giorno.

Solo ventiquattro ore.

Pure dodici, nel caso tu non avessi tempo.


giovedì 10 settembre 2015

Mi stai prosciugando l'anima



E’ incredibile come riesca a pensare continuamente alle stesse cose.
Ogni singola cosa mi ricorda te.
I treni che passano, il tabacco che sto fumando, gli anelli che guardo sulle bancarelle, i capelli che nessuno ha come ce li hai tu.
Passo intere giornate ad evitare di pensare a te e a quelle battute di merda che mi facevano morire dalle risate.
Riguardo quel video che mi facesti il giorno del mio compleanno, le prime foto che ci facemmo (quelle in cui stavamo entrambi di merda).
C’ho quel fottuto pupazzetto sulla seconda mensola a destra, affianco a quelle pietre che trovasti nella grotta dove stavamo ogni volta che ci vedevamo.
Ogni fottuto ricordo risorge in ogni fottuto istante della mia giornata.
E ti odio.
Ti odio immensamente. Perché non faccio altro che pensare, piangere e cercare di non farmi più male pensando che l’unica persona che abbia mai amato veramente se ne è andata, ha preferito stare con loro invece che con me.
Ti odio immensamente perché mi mancano immensamente le tue carezze, le tue mani, il tuo viso. 
Ti odio immensamente perché da quando non mi ami più io ho smesso di amare pure la pizza ed ho iniziato ad odiare ogni cosa che toccato, baciato, accarezzato.
Ti odio perché fai finta di niente e mi fai morire ad ogni messaggio, ad ogni foto che cambi e che vedo.
Ti odio, ti odio tanto quanto odio me stessa per avere così tanta paura di quello che potresti farmi e che potrebbe succedere. Ti odio perché non ti rendi conto di quanto male mi hai fatto e non ti rendi conto di cosa mi fai se torni e mi illudi di nuovo. Ti odio perché prima arrivi, poi vai, poi ritorni, poi resti, poi te ne vai, poi mi uccidi, poi mi curi, poi parti e decidi di tornare a casa.
Ti odio. Ti odio.
Ed odio ogni singola parte di me che continua ad amarti così tanto.

Vicissitudine

''Tutt e cos c'aggia amat po' se so distrutt.
E chi dicev ca' m'amav o e' scumpars o se n'è jut''.




Quant’è brutto dover stare 
senza il tocco delle tue dita
senza il suono della tua voce
senza il sapore delle tue parole
sulle mie labbra?

Il mare danzerà piano
per noi e per le nostre malinconie
per noi e per le nostre agonie
per noi e per i nostri vuoti.

La tua tristezza
è mia.
I tuoi rancori
sono miei.
La tua gioia
sarà mia
ed i nostri baci
i nostri silenzi
le nostre mani
i nostri ricordi
saranno di nessuno.

Quante volte hai amato il colore dei miei occhi?
Quante volte mi hai amata così tanto da pensare
di amarmi troppo poco?

Non avrai il coraggio di tenermi la mano
e cammineremo ancora una volta distanti.
Tu coi tuoi pensieri
ed io con quelli di una persona
che un tempo conoscevo.

mercoledì 9 settembre 2015

Egocentrismo




9 settembre 2015
Ho aperto questo blog per il puro egocentrismo di parlare delle mie incredibili esperienze, delle mie confuse sensazioni e di tutto ciò che mi passa per la testa.
Adoro filtrare ogni parte di me con la scrittura perché non saprei fare altrimenti.
Per gli amici sono Fanna. Per mia madre Giovanna. Per mio padre una figlia. E per me stessa 'quella riflessa nello specchio alla parete'.
Sono un'adolescente come tante altre. Niente di più, niente di meno. Ho i miei momenti no, i miei momenti 'forse', i miei momenti 'vaffanculo'.
Sono cresciuta in provincia di Napoli. E sin da bambina ho familiarizzato col mondo che mi circonda. L'ho sempre osservato con occhio critico chiedendomi perché. Chiedendo come, chiedendo a me stessa: ''Sarà giusto, o sarà sbagliato? E' bene o è male comportarsi così?''.
Quando si è bambini la differenza tra bene e male o nero e bianco ci sembra così definita che spesso ci si sente dire dai più piccoli:'Io quando sarò grande non lo farò mai!'.
Crescere significa capire. E capire significa sperimentare. Sperimentare è sinonimo di essere curiosi.

Quando si cresce e si diventa adulti (per così dire!), la marcata linea tra bene e male è sfumata così tanto che pare non ci sia più differenza. Ciò che è giusto diventa noioso ed ogni cosa apparentemente proibita attrae noi giovani più di qualsiasi altra cosa. Molto spesso non ci si rende conto di star superando la sfumatura di grigio tra bene e male e si finisce sempre, e dico sempre, a schiantarsi contro il muro che è la realtà; la realtà che balza fuori dal nulla e ti fa pensare:''Ma cosa ne stai facendo della tua vita? Dicevi che non l'avresti mai fatto''.
Non so come quest'argomento sia saltato fuori. Fino a pochi minuti fa si parlava di quanto fosse piacevole scrivere di sé.
Studio al liceo classico. Ed ho la fortuna (mettiamola così, dai) di essere a contatto con la meraviglia delle parole abbastanza spesso.
Certe volte pensare diventa scrivere quasi per scherzo, quasi senza preavviso.
Il flusso dei pensieri è strettamente legato alla penna.
Penna, mente e cuore sono in simbiosi: se mai ne morisse una, morirebbero dopo un po’ anche le altre due. E’ legge.
Non si può sentir la voglia di parlare (mente), se non si ottiene prima il coraggio di farlo (cuore).
E’ tutta una ruota di meccanismi che si legano tra loro. Un cerchio di conseguenze senza le quali nulla è possibile.
La penna è vittima di una vera e propria guerra tra volere e sentire, tra bisogno e virtù.