martedì 16 giugno 2020

I simboli del potere

Che cos'è un simbolo? Questa è una domanda troppo generica per una risposta esaustiva.
Sono simboli l'Ara Pacis, la croce cristiana, il nostro tricolore. E sono simboli anche i vostri tatuaggi. Il simbolo, insomma, altro non è che una forma materiale che nella sua finitezza è capace di evocare l'infinito della storia (individuale o sociale che sia). Possiede una forza suggestiva tale da investire gli occhi, la mente e l'animo di chi osserva.
''A egregie cose il forte animo accendono
l' urne de' forti, o Pindemonte; e bella
e santa fanno al peregrin la terra 
che le ricetta. (...)''
Così scriveva Foscolo nei Sepolcri, riconoscendo nella tomba il simbolo cui si ispirano le grandi azioni. La tomba si erge a monumento, a tributo del passato che condiziona e influenza inesorabilmente il presente. Il simbolo è dunque un exemplum, ma anche una forma di potere e quindi di controllo. 
Come spesso accade infatti, il simbolo è diventato lo strumento attraverso cui orientare l'opinione pubblica, il mezzo con cui fazioni in lotta si candidano all'asta per la suggestione delle masse. 
Perché distruggere un simbolo? La distruzione di un simbolo è sostanzialmente distruzione di un'idea o di un complesso di idee che ci sembrano oramai inapplicabili. 
Ed è così che viene decapitato Cristoforo Colombo a Boston. Ed è così che viene imbrattato Indro Montanelli a Milano.
La storia ha tanto da insegnarci; ma nella storiografia e nell'analisi storica non si nasconde o si oscura quello che il processo storico ci consegna come un dato di fatto: le più grandi trasformazioni, le gocce che fanno traboccare i vasi, necessitano sempre di una dimostrazione di forza. La rivoluzione francese incomincia con la presa della Bastiglia, la prima guerra mondiale con l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando e il conflitto America/Oriente proprio con l'attentato alle Torri Gemelle.
Decapitare Colombo ha dunque un significato che supera la nozione di vandalismo. Un gesto brutale è rifiuto categorico della sottomissione. E' la fine del silenzio e l'inizio della rivolta.
Imbrattare Montanelli definendolo ''razzista, stupratore'' non è barbarie. Significa distruggere la cultura del più forte. Significa vergognarsi della storia colonialista italiana. Significa rimproverare una cultura che ha la colpa di enfatizzare l'uomo brutale, violento, aggressivo, dominatore. Significa lasciar cadere la fisionomia dell'italiano medio: l'italiano che rivendica per sé diritti e doveri esclusivi, emarginando il diverso (che sia il nero, l'omosessuale, il dissidente, la donna emancipata, il rivoluzionario).
Perché non distruggere un simbolo? Il simbolo è quindi una sorta di arma a doppio taglio: fa ispirare e fa arrabbiare, fa emozionare e fa odiare. E proprio in virtù di questa sua ambivalenza, il simbolo ha un significato propriamente storico che non si deve cancellare.
Rimuovere Montanelli sarebbe cancellare il passato? Sì. Diverrebbe un gesto eroico che cancellerebbe la dinamica di un problema sociale molto più grande: nell'atto di rimuovere quella statua, c'è il rischio di considerare tutte queste implicazioni come già acquisite. Quando invece, per rovesciare la cultura elitaria italiana, ci vuole molto più di una bomboletta spray. 
Perché tanta discussione? Entro l'universo virtuale dei social network l'Italia ha dato il peggio di sé. Si sono accese discussioni la cui ferocia è motivo non solo di preoccupazione, ma anche e soprattutto di riflessione. 
Il motivo per cui il popolo italiano si agita al nome di Montanelli sta nella progressiva acquisizione di quel modello: un modello ora glorificato ed aurificato, ora discusso e criticato. Un modello del quale però si riconosce, in entrambi i casi, l'estraneità rispetto il presente.
La verità è che agli italiani non serve un Montanelli. La verità è che gli italiani non si riconoscono in questa politica di sottomissione, che fa di tutto una compravendita, persino il lavoro.
Una verità che sfugge a molti è che dall'America all'Europa s'è acceso un fuoco che non può esser che visto come malevolo. Questo clima di lotta, contestazione, ripudio del vecchio, si inscena entro coordinate più vaste: non dico tra gli uomini, ma tra i giovani, si respira l'aria del cambiamento. L'aria della trasformazione, dell'innovazione, dell'uguaglianza, della libertà e della giustizia sociale. Riversiamo i nostri improperi su facebook perché siamo stanchi: stanchi di essere stranieri nella nostra terra, stanchi di essere bistrattati, sfruttati, corrotti, da un sistema che non è di tutti ma solo dei potenti. 



2 commenti:

  1. Se proprio devo eliminare un "simbolo", farei sparire De Pedis della banda della Magliana dalla chiesa di sant'Apollinare...
    Se proprio.

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    1. Non sapevo di questa storia.
      Mi inorridisce e mi sgomenta.

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