lunedì 28 settembre 2015

Quando bellezza diviene ossessione


Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio.
La scollatura a cuore non le piaceva. L'abito principesco le donava davvero poco e lo strascico era fin troppo lungo. In definitiva: tutto appariva troppo sfarzoso per i suoi gusti e si sentiva ridicola con quell'ammasso di lustrini e balze arrotolati sulla sua imponente corporatura.
La commessa le chiese per la millesima volta come dovesse essere dettagliatamente l'abito dei suoi sogni.
- ''Voglio solo essere bella''.
Rispondeva sempre e solo così, irritando la giovane donna che sbuffava rumorosamente, infastidita dallo strano sorriso rassegnato dipinto sul volto di Lavinia, che continuava a guardarsi rapita da quel bianco gesso immaginandoselo addosso in quel tanto atteso giorno.
Le fu proposto un abito stile impero. Accentuava la sua altezza, le assottigliava il punto vita ma quel tessuto lucido, che le ricordava tanto la seta, non la convinceva per niente al mondo. Era un abito troppo semplice, quasi anonimo. Le spalline erano pressoché fastidiose e non si sentiva certo a suo agio in un abito così comodo ma così monacale.
Quando era bambina non avrebbe mai immaginato di indossare abiti del genere.
In realtà Lavinia immaginava solo di essere bella.
Bella, magra e felice.
Si perse nelle sue fantasie da bambina che continuavano a condizionare il suo concetto di abito da sposa.
L'ultimo dei venti abiti che aveva rigorosamente sezionato le stava davvero male. Era un abito a sirena, dalla scollatura fin troppo profonda ed il bianco, quasi smorto, non contrastava col colore delle sue braccia ceree.
Sembrava un cadavere. Le stava categoricamente male.
L'abito dei suoi sogni lo incontrò sul sito di un'atelier a Roma. Era di una bellezza sorprendente: in stile impero, di color avorio, dalle maniche in pizzo, con scollatura a cuore coperta da una pioggia di lustrini di un colore leggermente più scuro dell'avorio. Rimase come incantata. Si immaginò con quell'abito così meraviglioso e con un raccolto benfatto che le conferiva un'aria di assoluta eleganza e benessere con se stessi. Si immaginò correre per la navata con un rossetto - più scuro rispetto il colore delle sue labbra -  a contornarle il sorriso. Si immaginò lo strascico abbastanza corto ma così dannatamente splendido a toccarle la pelle delle gambe mentre camminava, mentre si muoveva in quell'abito che la faceva sembrare la donna più bella di tutte.
Si sentì estasiata solo all'idea. Sorrise per il resto della giornata pensando che con quell'abito avrebbe passato il momento più bello di tutta la sua vita.
Una settimana dopo, venerdì ventitré settembre, Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio dell'atelier più grande di Roma.
La commessa l'aiutò ad abbottonare l'abito che sembrava le stesse a pennello. Era ansiosa di guardarsi allo specchio, non vedeva l'ora di scoprirsi gli occhi e rivedere ancora una volta le sue fantasie di bambina materializzarsi in uno specchio che solitamente ostentava una versione di lei che le garbava veramente poco.
A contornarle il sorriso c'era un rossetto rosso e i capelli, lavati e profumati e solitamente tenuti sciolti, erano legati in una complicata acconciatura che una parrucchiera le aveva gentilmente proposto per l'occasione.
I bottoni furono abbottonati, lo strascico fu sistemato e Lavinia si scoprì gli occhi.
Non aveva mai visto una Lavinia così bella.
Non aveva mai visto una donna più bella, sofisticata e meravigliosa di quella che vide in quello specchio, il venerdì ventitré ottobre.
Ciò che vide quel giorno riflesso nei suoi occhi azzurri non lo vide più in nessun'altra emozione e con nessun altro abito. La felicità e il benessere che le aveva donato quel momento lo ricordò ogni istante della sua vita.
Finalmente, Lavinia si era sentita bella. Finalmente si era sentita donna, ostentando un'eccentricità che non le apparteneva e sentendosi una donna desiderabile, una donna da ammirare col fiato sospeso.
Lavinia si era sentita in pace con ciò che era. Lavinia si era sentita splendida quanto una ninfa greca o, addirittura, splendida quanto la stessa Afrodite.
Tornò a casa sentendo che una parte di sé era appena stata completata, che finalmente aveva trovato ciò che cercava.
Quella sicurezza intagliata all'amore per se stessi e per la propria immagine durò molto più delle altre volte. Persino il giorno dopo Lavinia camminava solennemente nel suo abito stile impero, di color avorio, dalle maniche in pizzo, con scollatura a cuore coperta da una pioggia di lustrini di un colore leggermente più scuro dell'avorio.
Persino due giorni dopo Lavinia, con l'acconciatura sfatta, gironzolava per casa sentendosi la donna che avrebbe voluto sempre essere.
Persino tre giorni dopo Lavinia, con una leggera strappatura alla manica dell'abito, rifletteva insistentemente su come avrebbe dovuto essere il prossimo suo abito da sposa. Su come sarebbe stata bene con indosso quel vestito visto in vetrina nel nuovo atelier a via Ugo Foscolo.
Finalmente tolse quel vestito così scuro, così largo, così eccentrico che la faceva sembrare una donna di poco conto, una villana come tante. Sarebbe mai possibile sentirsi bella in un vestito del genere? Quei lustrini eran così appariscenti e sontuosi da farla sembrare fin troppo ridicola.
Lo aggrovigliò su se stesso e lo ripose assieme a tutti gli altri vestiti che l'avevano fatta sentire bella per troppo poco tempo.
Come se fosse uno stupido ed inutile vestito a farci sentire eternamente belle.
Poi, venerdì ventisei settembre, Lavinia guardava sospettosamente la sua immagine riflessa nello specchio di uno dei tanti atelier che non l'avevano ancora resa la donna piacente che aveva sempre e comunque voluto essere.

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