martedì 23 luglio 2019

Buon auspicio

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Verso i mari, gli orizzonti, via da qua.

In cerca di fortuna, in cerca di un nuovo sole
Come le rondini che migrano da un emisfero all'altro.

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Con valigie vuote e scarpe rotte.

In cerca di fortuna, in cerca di nuove lune
Come lupi che corrono liberi ululando al cielo.

E se domani non sarà più un giorno come un altro
Me ne andrò
Mano nella mano, io e te, con niente in tasca e niente in mente
Ma tutto qui, nelle nostre mani
Nel nostro cuore
Nella nostra forza quando ne siamo uno, per due.

venerdì 19 luglio 2019

10 minuti o poco più

Mangio l'unghia, faccio un tiro
sputo l'unghia, fumo ancora
mi piace fumare
mi piace fumarla
mi distraggo e poi sorrido
ma poi ripenso, che fastidio
però quei dieci minuti sono da dio. 

Il Mostro sono io

Arriva il giorno in cui uno tira le somme. Per cercare di capire, per cercare di farsene una ragione.
Eppure mai nessun conto è perfetto: dimentichiamo sempre qualcosa, qualcuno, anche il più insignificante dettaglio - che sommato a tutti gli altri, non è poi così insignificante -.
E' difficile ricostruire oggettivamente una vicenda, qualunque essa sia. La memoria è amorosa e poetica e l'inconscio spesso modifica delle circostanze per far sì che tutto vada liscio: non è la memoria ad adattarsi alla realtà, è la realtà che prende le sembianze della memoria quasi cancellando la sua verità.
Per lungo tempo mi sono soffermata su me stessa. In silenzio, ad occhi chiusi. Nei meandri della mia mente ho focalizzato - ossessivamente - l'attenzione su di me, senza che nessuno potesse notarlo. Questi mesi sono stati mesi dalla scorza dura. Ho pensato, ripensato, pensato e ripensato e questo mio flusso di coscienza si è riversato in niente. Non c'è carta che testimoni tutto questo mio pensare e sono sicura che tutto questo sia passato inosservato, o quasi.
Ho sempre insistito su cosa gli altri avessero fatto a me. Sulle mie cicatrici, il mio vissuto, la mia follia. Mai ho pensato di interrogarmi su quali fossero le cicatrici che io ho procurato agli altri.
Anche questo significa crescere: riconoscere i propri errori.
Anche questo significa perdonarsi: accettare ciò che è stato e lasciarlo andare.
La mia cicatrice più profonda, quella dalla quale è sgorgato più sangue, quella che per anni mi ha tormentato e quella che solo oggi, a vent'anni, ho accettato e riconosciuto in toto, l'ho inferta con altrettanta cattiveria ad una persona che non se lo meritava. Per niente. Una persona che è a me vicina, vicinissima, e verso la quale sento un rimorso che mi lacera dentro. Segreti di questo tipo hanno pochi testimoni e così come è successo a me, io credo che questa persona non abbia ancora realizzato cosa sia successo. O forse l'ha realizzato e così come son stata furtiva io, lo è stata lei? L'ha accettato? Ne piange la notte? Sente anche lei quel male dentro che dalla bocca dello stomaco sale fino alla gola? Quel male che ti fa desiderare di urlare ma ti toglie le forze per farlo?
Non lo saprò mai. Perché? Perché un conto è addentrarsi in speculazioni di questo genere, un conto è parlare e rendere tutte queste congetture ed ipotesi, nuda e sporca verità.
E' dura la verità. Dura da capirsi e da accettarsi. E nonostante tentiamo in tutti i modi di farcela piacere - modificandola - certi dati di fatto tornano alla mente come le scene di un vecchio film di cui non si ricorda niente se non quelle scene. E' per questo che sono sicura che lei saprà.
Se non è ancora arrivato, arriverà quel giorno in cui accosterà tutti i tasselli del puzzle e mi odierà - come io ho odiato chi mi ha ferito -.
Quando arriverà quel giorno io non sarò impassibile nella mia corazza di rame: racconterò tutto, dalla A alla Z e implorerò il perdono che nel profondo del mio cuore ho voluto che gli altri porgessero a me. Chiederò perdono e non basteranno le lacrime e le scuse a perdonarmi. E anche qualora questa persona mi perdoni, io non perdonerò mai me stessa. E porterò dentro di me questo macigno fino al giorno in cui morirò, rivivendo tutto ciò che è stato proprio come un film di cui si ricordano solo quelle scene.  Neppure a Dio confesserò questo. E per questo mi punirà due volte e io accetto il rischio.
Le cicatrici non rispecchiano solo il chi, il quando e il dove. Hanno anche un perché, pure se non sempre un perché si trova.
Ho sempre pensato che a certi dolori bisogna essere destinati. Ora non la vedo più così: chi sono io, per infliggere un dolore di questo tipo a un altro? Il Padreterno? L'Onnipotente? Chi sono io per scegliere il destino di una persona? Chi sono io per condizionarla per sempre? E allora se non siamo destinati ... questo dolore è un puro caso?
Mi rifiuto di pensare al caso; noi non siamo plastica versata in mare, libera di percorrere tutte le vie dell'oceano e soggette a qualunque tipo di accadimento.
Io credo che il dolore sia come un demonio che con le nostre esalazioni, con il nostro tocco, si diffonde come un morbo dall'uno all'altro.
Perdonami per quello che ti ho fatto. Non è stato Dio, non è stato il caso. Sono stata io. Sono stata io con la mia inconsapevolezza, che ora è consapevolezza, a farti male. Sono stata io.