domenica 29 ottobre 2017

Riflessione da uno sguardo perso nella malinconia

Mio padre non è mai stato un fanatico della spiritualità. Ha la sua fede, i suoi angeli, i suoi santi cui pregare; ma nè lui, nè io, nè la mia famiglia siamo mai stati la classica famiglia cristiana tutte le domeniche a messa.
Ugo Foscolo ne "Dei Sepolcri" sostiene che le tombe sono il mezzo di connessione coi morti per coloro che hanno voluto bene. La tomba è solo memoria, è solo un momento di comunione con chi non c'è più. E mio padre sin dalle prime settimane dalla morte di mia nonna, almeno un giorno alla settimana lo dedicava alla madre. Anche quando lavorava fuori, il suo primo pensiero era quello di andare a trovare mia nonna. 
Che luogo strano il cimitero. Non dico macabro. Dico, strano. 
Una sensazione che è la stessa di soli altri due momenti della tua vita: quando il pensiero della morte è vicino più che mai, quando la morte è arrivata e tu l'hai vista passare.
Mai come in questo periodo, ci penso spesso. 
Chi muore, dov'e che va? Della tua vita, della tua carne, dei tuoi affetti, della tua memoria, cosa resta? 
Oggi sono stata ad un funerale.
Dopo la morte, la nostra anima continua a vivere la sua interiorità? 
Ricorderà il suo primo parto, il pianto del suo primo bambino, il giorno del suo matrimonio, il natale con i figli, la sua giovinezza coi fratelli, le cose che ha vissuto, le cose che ha affrontato, il matrimonio dei suoi figli, il primo giorno della sua destinazione?
Questo è un discorso usuale, eppure, c'è un pensiero più profondo che sto pensando ma che non so esprimere.

giovedì 26 ottobre 2017

A puttane, io

Che io non sia mai stata niente per me stessa si è sempre saputo.
Adesso, ho la consapevolezza di essere il niente sulla faccia della terra.

domenica 22 ottobre 2017

Bellissimo

(questo post non è niente di speciale, semplicemente, dovevo fare ordine nella mia testa; ma il piano è fallito perché è tutto un casino)

La musica è sempre stata il parametro per capire me ed il mio modo di essere.
Come quando in un'equazione biquadratica, usiamo il parametro t per poter risolvere (sì, qualcosa l'ho imparato in questi cinque anni del cazzo). 
Niente è mai stato il mio forte se non l'uso della parola. Neanche il linguaggio del corpo. 
E certe volte, mi chiedo se ciò che scrivo o se ciò che sento viene recepito da me come viene recepito dagli altri. La risposta è no. Ognuno di noi ha una sorta di quadernino interiore in cui è appuntata ogni singola parola ed ogni singola relativa impressione, ciò che è per te, non è mai per tutti. E allora, chi mi capisce è come me? Condivide con me gli stessi binomi lettere-emozioni? O è solo empatia? 
In questi giorni c'è una canzone che mi rilassa i nervi e mi attorciglia i pensieri: Bellissimo.
I primi dodici secondi di questa canzone, scanditi da dita che suonano un pianoforte, fanno da metronomo alle prime ore che mi sveglio e alle ultime ore prima di acquietarmi nelle coperte. 
E la prima strofa, fa da propaganda a quest'anno di merda che non passa più, o che è passato o che ricomincia o che deve finire quando mi consegneranno il diploma e me ne andrò a fare in culo da qualche altra parte. 

''Beh, è andato tutto storto e sono vivo.
Quest’anno scorso in fondo è stato solo positivo
anche se a volte nello specchio non mi riconosco.
La vita è il morso di un molosso come un cane corso.
Ed al mio amico che mi consiglia l’aggregazione
Ho detto “mi frega zero della tua spiegazione”.
Quando si annega, è vero che dall’imbarcazione
c’è chi si aggrappa a un remo e spiega le vele altrove.''

Non è possibile ripercorrere gli eventi catastrofici dell'anno 2016/2017 in qualche riga di una canzone come tante. Che strano l'aggettivo ''catastrofico''. Mi dà l'impressione di un aggettivo che vuole prendere per il culo, o che vuole essere un modo come un altro per sfottere qualcuno di qualcosa, per presentargli davanti, ironicamente, come e perché non c'è nessuna catastrofe, si è solo melodrammatici.
Quanto odio quando mi si viene detto:''Ma quanto sei melodrammatica!''. Ma se fosse un melodramma o se non fosse una catastrofe vera e propria per me, perché te ne starei parlando?
A un certo punto della mia vita, ho solo modo di pensare che nessuno può capirti veramente eccetto te stesso. Anche se, ammettiamolo, ci sono gli stronzi che ti rinfacciano il fatto che tu ti preoccupi di un qualcosa che alla fine non è niente e gli stronzi che, quasi inteneriti, vogliono tranquillizzarti benevolmente. Di queste due categorie, preferisco la seconda, ma dato che odio sentirmi dire:''Ma no, stai tranquilla, sono cose stupide, una cosa come un'altra'', preferisco una terza opzione. E cioè, tenermi tutto per me. 
Il ritornello di questa canzone è zucchero nel caffè, è il momento di rilassamento all'estrema potenza. Come se quietasse, senza infilare dita nelle piaghe.

''Ho accettato che è bellissimo
rilassarsi nel pericolo,
dentro agli attacchi di panico.
La vita chiede rischi maggiori.
Oggi casa mia è un cunicolo,
arredato dopo un incubo.
Denti neri e sguardo livido,
la vita chiede azzardi migliori.''

In questi giorni, poi, mi è successa una cosa strana. Ho quasi voluto sfidare il destino, se mai esistesse. Mi son detta:''Chiama lo studio della psicologa al consultorio, se ti risponde allora è destino, se non ti risponde, allora è destino''. Beh, alla fine? Ho chiamato. ''Buonasera, consultorio della diocesi bla bla bla bla bla bla, per consultorio familiare clicca 1, per biblioteca clicca 2, per consulto medica clicca 3 ...'' inutile dire che non l'ho fatta manco fatta finire la registrazione, ho attaccato. E la prima cosa che ho pensato è stata.
M'hann fatt o' pacc! Che traslitterato dal napoletano, mi hanno fatto il pacco. E cioè, mi hanno chiusa in una situazione che non prospettavo. E' destino o non è destino? Poco importa.
In questi giorni, poi, ho riflettuto sui miei pensieri blasfemi. Come l'uomo o credere al destino, o credere a Dio, o credere al malocchio, o credere alla magia? Perché l'uomo ha un così alto bisogno di confidare in qualcosa o qualcuno? Perché l'uomo si sente così piccolo e debole da dover pensare che ci sia qualcosa al di sopra di noi capace di giostrare ciò che non possiamo giostrare noi? Noi non ne siamo capaci? Forse no, forse è intrinseco dell'uomo. Forse è intrinseco della natura umana. Forse siamo attratti da una spiritualità necessaria, naturale.
Gli atei si sentono superiori dei cattolici che credono alla vergine maria, la trinità, l'eden, la mela e il serpente. Ma l'ateismo esiste? L'uomo è capace di vivere disincarnato dalla spiritualità spontanea di ognuno di noi? L'uomo può credere solo in se stesso e nella sua razionalità? Perché i cattolici sentono di aver capito qualcosa di universalmente stabile e spiritualmente vero per l'umanità intera? Perché i religiosi sono convinti di aver conosciuto grazie al loro dio la destinazione dell'umanità intera dopo la morte della nostra carne?
Lascio il mio cervello vagare ancora un po' in questi interrogativi inutili e che potrei risparmiami per studiare un po'.




venerdì 20 ottobre 2017

Fra i serpenti a sonagli

Certi giorni, ti senti indifeso.
Indifeso, senza armi, armature, né parole per difendere te stesso, o magari il tuo orgoglio, o magari i tuoi sentimenti. 
Odio definirlo incassare. Io non incasso, io mi lascio sbranare. 
Con la pelle già scuoiata, mi faccio uccidere. Ma le persone non ti uccidono mai per bene, ti accoltellano, ti strappano un rene, ti amputano le gambe ma non ti fanno morire.
E alla fine, tu, sanguinante, senza rene e senza gambe, finisci di uccidere il tuo corpo, i tuoi pensieri, tutto quello che rimane della tua carcassa.
E alla fine della tua giornata, dici, hanno fatto bene ad uccidermi. 
Certi giorni, sei su un orlo: a metà tra l'indifeso, a metà tra il già morto.

Giro di Notte

Lontano dai guai.
Vorrei stare, lontana dai guai.
Poi mi guardo piangere e mi viene da strillare, perché capisco che c'è una forza centripeta più forte di me che mi spinge nel caos.
Voi direte, bella scusa.
Ma io non ho scusanti.

sabato 14 ottobre 2017

Vivo mai, morto mai

Non ricordo in quale bella poesia
Petrarca ammirava la notte, il buio, i grilli
io stasera i grilli li fucilerei.
Voglio pace.

mercoledì 4 ottobre 2017

Il Terrore

L'ultima volta che ci andai risale forse all'aprile del mio terzo anno di medie, perché ricordo bene che in una delle ultime sedute parlammo di mia nonna, che era morta proprio gli ultimi di questo mese.
L'ultima vera seduta non la ricordo per niente bene, perché decisi all'improvviso di non andarci più, senza salutarla, senza chiamarla, senza scambiare un'ultima parola. Dissi a mia madre:''Chiamala e dille che non vado più, sto bene ora''. Non me ne presi nessuna ''responsabilità'', non ebbi le palle, come tante altre volte ancora, come tante altre volte prima, come tante altre volte dopo.
Ricordo che facevamo due sedute a settimana. Le prime sedute sono state terribili: io non parlavo, lei parlava per me, ed io per acconsentire piangevo e per dissentire sbuffavo.
In una seduta dei mesi più caldi, credo forse marzo (ricordo benissimo che in quel periodo correva la festa della donna o qualcosa di simile), mi chiese di farle leggere una mia poesia. Io non mi sono mai permessa, mi sono sempre vergognata dell'idea che qualcuno leggesse di me.
In realtà tra me e lei c'era uno spirito di armonia ed uno spirito di caos. Ero completamente a mio agio ed ero completamente a disagio allo stesso tempo.
Per essere coerente con la mia irresponsabilità nell'avere le palle, le dicevo sempre:''La prossima volta ti farò leggere'', oppure:''qualche volta ti faccio leggere la più bella che ho scritto fino adesso''.
In realtà con lei era sempre ''la prossima volta''. Non capivo se fossi a disagio con lei o con me e con quello che dicevo, scrivevo, facevo sul mio corpo.
Era un continuo fingere, da parte mia. Poi scoppiava il Terrore nella mia testa e lei mi diceva:''Se non vuoi parlarmi, posso almeno sentire come stai da quello che scrivi?''.
La mia passione per la scrittura è nata nel periodo più terrificante della mia vita. Da qualche parte avrò ancora conservato tutto ciò che composi, e che non ho avuto più il coraggio di rileggere, perché certe volte ho l'impressione che non c'è niente di terrificante attorno a me, ma terrificante sono io.
Mi chiese di farle leggere una delle mie poesie preferite, perché sapeva che del programma di terza media mi ero appassionata tantissimo a Leopardi. Io scrissi su un foglio a righe ''A se stesso''.

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perí l’inganno estremo,
ch’eterno io mi credei. Perí. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T’acqueta omai. Dispera
l’ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l’infinita vanitá del tutto.

Continuammo questo ''gioco''. Questo forse è uno dei ricordi più vividi che conservo: discutevamo di letteratura, storia, psicologia. Ricordo che una volta leggemmo insieme ''La pioggia nel pineto'' riflettendo sulle parti più belle di quella poesia.
Ne ho anche dei ricordi che mi fa vergogna a dirli, e che infatti non ho confessato mai a nessuno, neanche a mia madre.
In questi anni ci ho pensato spesso. Mi sembra tutto un ricordo sfumato, lontano, troppo passato da poter ricordare.
E in questi giorni, in questi mesi, ci ho pensato anche di più. Avrei voluto ritornarci. Per chiedere scusa, per dirle che non è cambiato niente, per chiederle cosa ha detto a mia madre i primi di maggio quando decisi di non andarci più e quando le chiese di venire in studio perché doveva parlarle.
Una parte di me si chiede se lei avesse previsto tutto questo. Una parte di me si chiede curiosamente cosa lei potrebbe dirmi se dicessi:''Sto così'' e mi denuderei, una volta per tutte, per la prima volta in mesi e mesi. Una parte di me si dice che sono stronzate. Una parte di me invece mi sussurra:''Sei stata senza per cinque anni, perché adesso?''.
Mi sono sempre chiesta cosa ho. Fluttuano attorno a me cose, cose e cose. E non mi sento più me, come non mi sono mai sentita veramente. Mi chiedo se attorno a me qualcuno sa cosa penso, se magari ci si accorge, se magari si nota che qualcosa mi complessa la vita di tutti i giorni.
In questi giorni sono senza forze, senza voglia, senza niente. Non è un senso di vuoto, è un senso di <inganno estremo>. E' un senso di essere piccola sotto una trave pesante ma su cui appoggio vasi di fiori, cestini con caramelle, festoni colorati.
La più grande domanda del mio passato adesso è diventata un interrogativo a cui rispondere: lei immaginava questo? Lei sapeva che sarebbe successo questo? Lei che ha capito di me che io non riesco a capire, né mia madre, né nessuno? 

lunedì 2 ottobre 2017

Fa che sia inerzia

Odiami se vuoi.
Odiami e detestami.
Piangi di me e ridi di me
fino a perdere i sensi
fino a farmi perdere i sensi.
Odiami se vuoi.
Alzo gli occhi attorno e vedo solo avvoltoi.
Sarà per questo che non ti guardo mai
sarà per questo che non volgo lo sguardo al tuo specchio nell'animo.
Mi spezzerei, in mille pezzi.
Diverrei non cenere
ma polvere, invisibile, incastrata nel tessuto di ciò che resta di me.

domenica 1 ottobre 2017

Il Sole e la Luna

Il sole chiedeva alla luna
di fargli un po' compagnia
e lei lo ascoltava, mentre volgeva lo sguardo altrove.
Un lupo solo chiedeva alla luna
di fargli un po' compagnia
e lei lo ascoltava mentre abbassava lo sguardo su di lui.
Il sole si offese e la luna rientrò;
la luna rientrò e il sole bussò alla sua porta.
Quando la luna ad occhi chiusi e a bocca asciutta
comparve nell'imbrunire delle sette
il sole la cercò e lei lo ascoltava, muta
pianse, e non parlò più.
Il dramma dei simili,
parlarsi e non capirsi
non parlarsi e non capirsi.