sabato 24 novembre 2018

I'm covering my ears like a kid

Forse è solo mal di vivere.
Ci siamo incontrati tanto, tanto tempo fa, da che ne ho memoria. E non mi ha mai lasciato andare.
Quello che faccio io è l'esperimento che tutti gli uomini, di tutti i tempi, hanno condotto; parlo della fenomenologia del malessere.
Al diavolo la lirica. La poetica. La sensibilità di quelli che scrivono i libri. Al diavolo tutte queste cose.
L'unica cosa che so dire è che mi sento in piena. Straripo. Sgorga furia da tutti i segni sulla mia pelle.
E vorrei cancellarmi. Vorrei piangere e ammutolirmi, l'unico modo che mi rimane per ribellarmi. E vorrei tirarmi fuori da queste macerie ma tutto crolla così in fretta.
Troppo in fretta.
È il caso di ammettere che da queste macerie nessuno può tirarmi fuori, se non lo voglia io, se non sia io a chiederlo.

venerdì 9 novembre 2018

Via d'uscita



Sono arrivata ad un punto mediano tra l'assoluta certezza e la disarmante incertezza.
L'uomo quando non si riconosce più nel suo essere, nelle sue maschere, nei vestiti che indossa, nelle cose che dice e in quelle che fa, crede di essersi perso. Ed è esattamente come mi sento io.
Perdersi significa perdere l'orientamento. E perdere l'orientamento significa pensare di non avere la giusta percezione delle cose. Non avere la giusta percezione delle cose porta l'uomo ad un bivio: o ci si appoggia alla sensibilità, quella più primitiva che è in noi, e ci si abbandona a cose fatte senza criterio; o ci si fossilizza su pensieri dai quali non si riesce ad uscire.
Io credo di rientrare in quelli che scelgono - inconsapevolmente - di tirare avanti così come la vita viene, di continuare ad agire non perché convinta delle mie azioni, ma perché dell'idea che sia necessario farlo. Ed è sul serio così? E' necessario agire, in qualunque contesto si parli? L'uomo può permettersi una pausa?
No. 
Nel momento in cui ti guardi allo specchio e vedi tutto ciò che non avresti mai immaginato di vedere, la tua mente è in corsa verso l'uscita. E nella frenesia di venirne fuori, nel furore di quell'immagine riflessa che rivedi ogni secondo davanti agli occhi, non puoi che scappare. A gambe levate, più veloce della luce. Non puoi che convincerti che è tutto sogno. Ma all'improvviso, il suono della verità ti assorda le orecchie e nel profondo di te stesso sapevi che prima o poi sarebbe successo.
Non mi sento più io. Non riconosco quella che vedo nello specchio. Non vedo più me in ciò che scrivo, non vedo più me nel mio modo di far parte di questo grande, grandissimo mondo.
Sono passati mesi, mesi in cui il pensiero di aver perso il seme più pulito, più puro, più forte della mia anima mi ha tenuta in allerta, in ansia, in agitazione. In costante ... inquietudine.
La parte più sporca di questo gioco malato è che una volta che ti sei abbandonato a certi stimoli, non riesci più a farne a meno. E certi stimoli diventano vizi. E i vizi diventano fissazioni. Ed anche i vizi finiscono per diventare un problema, un problema ancora più grande del problema in sé: perché prima di ritornare in te, devi liberarti di quello che ha creato l'immagine distopica che hai di te.
Perché per sentirti puro, trasparente, in comunione con te stesso, devi liberarti di quello che ti fa sentire sporco. Così come la sensibilità fallace ti ha portato da farfalla a bruco, così la ragione e l'ordine devono aiutarti a compiere una seconda metamorfosi. Quella che ti riporterà nell'equilibrio che hai perso e che rivuoi per te.
Facile a dirsi.
Ma a farsi?

giovedì 8 novembre 2018

Senza stimoli



Sospirando mi dissero
l'uragano Katrina tu mi porti alla mente
e io, nel dubbio di ridere
o scatenare la mia furia
stetti zitta muta
tavola piatta.
Il mare è calmo da un po'
ma è vuoto
d'armonia e d'equilibrio
vuoto di odori suoni
vita.
Se a piedi scalzi raggiungessi riva
mi sorprenderebbe persino sentirlo freddo
o caldo che sia, questo pozzo di segreti.
Lo immagino così
un mondo d'astrazione a cui sono preclusa
un mondo di moto e dinamismo che mi attrae
e che il mio stato di fermo respinge.
Le mie orecchie non s'allegrano con queste voci
i miei occhi si chiudono all'ordinarietà
le mie dita bramano superfici nuove
la mia mente è anelito a nuovi tramonti
e nuove albe.
Campo incolto, ma figuro un giardino fiorito
profumate orchidee, ma semino semi di grano.
Non so dire se io sia in letargo
o già in pensione.
Qualcosa desterà la mia vena lirica
qualcosa infuocherà la mia curiosità
e questo vuoto tornerà a colmarsi
a straripare di emozioni
a portarmi sul letto della vita
che fluisce alle mie spalle.
Prima che i miei sensi decadano sotto il peso
della pretesa che io stessa ripongo in me.