sabato 11 maggio 2019

Sogno all'orizzonte

Scrivere per caso era lasciarsi andare al gioco della pura osservazione e invenzione, che si muove fuori di noi, cogliendo a caso fra esseri, luoghi e cose a noi indifferenti. Scrivere non per caso era dire soltanto di quello che amiamo. La memoria è amorosa e non è mai casuale. Essa affonda le radici nella nostra stessa vita, e perciò la sua scelta non è mai casuale, ma sempre appassionata e imperiosa. Lo pensai; ma poi lo dimenticai, e in seguito ancora per molti anni mi diedi al gioco dell'oziosa invenzione, credendo di poter inventare dal nulla, senza amore né odio, trastullandomi fra esseri e cose per cui non sentivo che un'oziosa curiosità. - N. Ginzburg

Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare il pianoforte; magari sarei diventata la Chopin del ventunesimo secolo, o forse non sarei diventata nessuno fuorché quella che ora sono.
Mi sarebbe piaciuto anche imparare a dipingere; magari sarei diventata la Raffaello o la Mantegna del ventunesimo secolo, o forse sarei diventata un'artista di strada, o forse non sarei diventata nessuno fuorché quella che sono.
Ma più di tutti, mi sarebbe piaciuto scrivere.
La poesia è stata per me una compagna di viaggio. E' stata quel contenitore in cui conservare ogni sensazione, ogni emozione, ogni fissazione, ogni incubo. La mia prima poesia l'ho scritta a quattordici anni. La mia psicologa mi chiese di scrivere, visto che non parlavo. E io scrissi. Ma lei quella poesia non l'ha mai letta, c'è stata un'unica persona ad averla letta e forse la persona in questione neppure se ne ricorda.
La poesia è sempre stata catarsi. Sì, una purificazione, un sentimento di pace e armonia. Quando ordini su carta il disordine nella testa, ti senti in pace. Ma soprattutto, ti senti più prossimo a te stesso: ora quella poesia scritta sei anni fa è balzata sulla mia scrivania e quell'odore di chiuso - soffocante - lo sento proprio sotto al naso. Sento anche il rumore della tempesta in arrivo. Ed è bastata una poesia di due pagine e mezzo a farmi vivere di nuovo e di nuovo ancora un momento della mia vita che non mi abbandonerà mai veramente.
E' questo quello che amo della poesia: quello che lasci scritto, una volta scritto, non appartiene più a te. Magari c'è il tuo nome segnato in basso, ma non è più tua. Perché la poesia è una forza centripeta che vive per sé. Ha un'esistenza autonoma che si potenzia quanto più la sua sinfonia fa vibrare gli animi della gente. 

Ed è per questo che amo leggerla. Perché la poesia non è di nessuno, la poesia è di tutti quelli che se ne innamorano. Non ha padroni e non ha schiavi.
Ho ripreso a leggere, in questo periodo. Ed ho letto libri bellissimi. Espiazione, Quando Teresa si arrabbiò con Dio, Il caso del cane ucciso a mezzanotte, La strada che va in città, Il giovane Holden.

Ognuno di questi mi ha lasciato un marchio dentro, specialmente i primi due, che avrei voluto non finissero mai. Quand'ero più piccola pensavo che leggere servisse a sentirsi meno soli. A distanza di anni non credo il contrario. Ma io non leggo perché mi sento sola, leggo perché a volte ho bisogno di astrarmi. La vita ordinaria a volte ti scurisce la vista: come bianco e nero sono le pagine dei manuali universitari, così sono le discussioni in famiglia. E finisci per vedere tutto allo stesso modo: le giornate e i pomeriggi di studio scorrono, le giornate di lavoro finiscono, le serate tranquille finiscono e quando ti distendi sotto le coperte, neppure il buio nella stanza è più scuro della tua ordinarietà. Leggere non è per me solo astrazione. Non mi basta vedere nuovi mondi, sentire nuove emozioni, rifugiarmi in un mondo in cui a tutto c'è inizio e fine e sta a te scoprirlo e sta a te accettarlo.
Quella vena poetica che mi portava a scrivere poesie ad ogni momento del giorno - a scuola, aspettando la sera, a notte fonda - non so dire se si è ostruita o semplicemente non funziona più.
Io credo che si sia ostruita. Credo che fare come faccio - ignorare ogni cosa - mi abbia portato ad ignorare il fatto di avere sempre avuto un'amica con me, la mia penna. E ora, offesa la penna, offesa la vena poetica, più di tre parole in fila non vengono fuori.

Ho provato a scrivere un romanzo, ma sono ferma al capitolo quattro. Ho dubbi, incertezze? No. Difficoltà a stilare una trama, un canovaccio, un programma di narrazione? No. 
Quello che voglio scrivere lo so già. Quello che voglio scrivere mi passa davanti agli occhi ogni minuto.
Voi direte, allora scrivi. 

Non posso: perché la passione, il fervore, la scintilla negli occhi dei personaggi che popolano i miei castelli in aria, scompaiono quando la penna tenta di incollarli al foglio. Non scrivo con leggerezza. I miei schemi mentali mi impongono di guardare la scrittura nello stesso modo in cui guardo alla mia vita: un sistema chiuso, regolato, controllato. In una vita in cui tutto deve essere regola e ciò che non è regola è fonte di disagio, non c'è spazio per la scrittura, che è per antonomasia un processo naturale, leggero, spontaneo. 
Io nella mia vita non posso sbilanciarmi mai. Perché i miei spiriti poi non la finiscono di parlare e incasinarmi.
Ma come posso io scrivere, se sono la prima a censurarsi?

8 commenti:

  1. io credo che questo flusso ti scorrerà naturalmente..non riuscirai a cansurarlo..
    io ci avevo provato.a bandirlo.ma esso è ritornato.
    e io l'ho accolto felice.
    tornerà vedrai

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    1. Forse, come molte volte, la vedo più difficile di quanto in realtà sia.

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  2. non devi recriminare se ti "complichi"la vita..questa sei tu e man mano imparerai a essere più leggera..per ora tranquilla vai bene così..con tutti i tuoi dubbi e "paranoie"!!

    un abbraccio

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  3. CHE BELLO la nuova grafica!!
    la scritta titolo è stupenda!!

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