Maggio.
L'afa, le improvvise vampate di calore, l'improvviso rabbuiarsi delle nuvole che mai son state così irrequiete il mese di maggio.
La festa della mamma, le rose sbocciate che tempestano i balconi degli stretti quartieri che vedono passare bambini coi supersantos, anziani a braccetto con le loro nipoti, mamme che tengono per mano i bambini con la voglia di correre, urlare, giocare.
E' così diverso dall'inverno. A febbraio c'ero solo io, qui, sulla panchina. E questo affollarsi di rumore, di colore, di vita, mi costringe a risvegliarmi, a destarmi, dal margine di malinconia in cui precipito quando mi sento sola.
A volte mi sembra un pugno nell'occhio, questa mia tristezza patologica. E' quasi come se fosse un livido che si espande ogni giorno di più, in ogni centimetro in più. E quando meno me ne accorgo, spunta fuori, e mi si dice:''Ma cosa c'è? Che hai?'', e mi costringo scoprirmi e non dovrei, perché i lividi destano la curiosità di chi non li conosce, o di chi non li ha avuti scuri come i tuoi.
- Ma ti fa male? Come te lo sei fatta?
E toccano, premono le dita sulla macchiolina viola, sanno qual è il punto debole, lo scoprono, sapranno dove toccare, dove farti male.
E' uno sconforto dalle dimensioni oceaniche, è tutto un concatenarsi di canzoni, parole, poesie, di penna sul foglio e vorticosi graffi inutili su una tabula bianca, rasa, che soffre la franchezza di un vuoto di parole. Come se dicesse:''Fa come vuoi, fa ciò che vuoi, cuoricini, rombi, cubi, linee e disegnini, ma non scriverai. Non ci riuscirai''.
Ma qualcosa è cambiato, perché i miei occhi non mi ripetono:''Sei banale'', ma mi dicono e sussurrano:''C'è qualcosa in te che va scoperto, che va mostrato, anche se non sai di cosa si tratti. E finché non ci riuscirai, sarai banale''.
''Mi scuso con me stesso
perché questo rende grandi.
Non certo la barba, né arrivare a diciott'anni.
Tra drammi e gioie, sulla pelle ho alcuni danni
ma nel cuore porto tagli che non vogliono cicatrizzarsi.''
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