sabato 7 gennaio 2017

O' posto mio

Su un terrazzo illuminato dalle luci della notte
e bagnato dall'insipido mare di Sorrento
sogno di saper scrivere sul mio corpo quello che la notte condanna
ciò che questo bianco perla della Luna mette in palio a chi la guarda
a bocca aperta, e a mani incrociate.
Sì, l'incipit sarebbe questo.
Una poeticità che è pateticità dell'idea stessa di questo momento.
Non c'è terrazzo
non c'è luce
non c'è il mare e non si è neppure a Sorrento.
Su una panchina in mezzo al niente
col vento che soffia e fischia e fa temere che il niente diventi il caos
sogno di saper dare in pasto alla penna il luogo in cui vivo
in cui emergo, in cui rimango a galla.
I palazzi alti e grigio sporco, il silos che è padrone di tutto ciò che è ai suoi piedi
come il dito medio della mano che sovrasta gli altri quattro.
Le altalene, distrutte cento volte in due mesi e riparate almeno duecento volte in più
la Conad sporca in ogni angolo e ogni infessura, i marciapiedi rosicati dal tempo che passa
come un treno italo, veloce, sui binari della stazione
e quelle piante rampicanti sugli edifici popolari che li fanno sembrare ruderi di campagna.
Le persone sono ominidi, la tradizione è Alto Medioevo.
Tutto spento, tutto tace, tutto oscuro nello squallore di queste aiuole che sono diventate foreste
di questa piazza che è solo il posto in cui un pensionato cerca di vivere friggendo panzarotti e simili.
Non c'è terrazzo, non c'è stupore, il fumo dell'inceneritore copre anche le stelle
e la luna, e le rondini, e tutto ciò che c'è di bello nell'alzare gli occhi al cielo
ma rimane casa mia.
Rimane il mio più grande progetto di rivalsa.
Rimane parte di me, rimango qua.

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